conoscono, li guiderò per sentieri sconosciuti,
trasformerò davanti a loro le tenebre in luce,
i luoghi aspri in pianura” (Is 42,16)
Ed ecco la madre di tutte le tappe. Ci siamo, finalmente, partiamo emozionati e
paurosi. Villafranca del Bierzo (505mt slm) è buia e deserta, sono le 6,10,
s’aggira solo, l’ho riconosciuta, la pellegrina che era stata ai nostri calcagni
nella tappa da Astorga.
Il primo paese che incontriamo si chiama Pereje, qui si potrebbe optare per una
variante che evita di camminare a lato della statale, ma si sale e si scende,
allungando di due chilometri, non fa per noi. Il secondo paese è Trabadelo dove,
approfittando per la colazione, verifico lo stato del mio piede sinistro che
lancia segnali di fumo. Devo ricorrere ad un cerotto antivescica. Il traffico
sulla statale aumenta, pur se è domenica e nonostante la nuova superstrada che
sovrasta il fondovalle con vertiginosi viadotti. Finalmente imbocchiamo la
provinciale che s’addentra ancor di più nella stretta valle verso la Cordigliera
Cantabrica. I paesi cominciano ad avere la caratteristica fisionomia di paesi di
montagna: Ambasmetas, dove ci riposiamo e ci facciamo un caffè, Vega de Valcarce
(il nome della valle), Ruitelan, dove ci liberiamo degli zaini e presso l’unico
bar facciamo rifornimento (è già l’ora di pranzo). Dopo Los Herrerias (siamo
ancora sui 650mt slm) comincia lo strappo, ci si inerpica in mezzo ai boschi, un
tetto di foglie sopra di noi, un duro sentiero di sassi e fango sotto i nostri
piedi. Non dico quante pause, quante persone ci hanno superato, fino a quando
sbattiamo ad un muro di cinta, un cartello ci avvisa che siamo a La Faba (915mt
slm). Sono proprio quattro case, con un bar ricavato in un garage e una fontana
dove si stava facendo il bagno un cagnone nero, stazza san bernardo. La sua
padrona, una gracile fanciulla se ne stava sdraiata sull’erba a prendere il
sole. Ho cercato vacche al prato, ma non ne vedevo, a ben ragione, perché, l’ho
capito poi, era una pellegrina in cammino con il suo cane, e guai a chi si
avvicinava. Comunque, anche noi ci siamo stravaccati per un po’ e solo a
malincuore abbiamo ripreso, perché la stanchezza era veramente tutta sulle
nostre povere spalle, sostenute malamente dalle gambe che non tenevano più,
andavano un po’ per loro conto. Così, abbiamo raggiunto Laguna de Castilla
(1200mt slm), ultimo paese prima dell’ingresso in Galizia, che non abbiamo
degnato di uno sguardo, chinati come muli nell’andamento lento ma progressivo.
Arrancando, ansimando, ma gioiosi posiamo per la foto di rito accanto al cippo
che segna il confine regionale, mentre in lontananza crediamo di vedere il passo
dove dovrebbe esserci O Cebreiro (1330mt slm).
Avevamo visto giusto, manca poco, Mariella dice che le gambe non vogliono più
proseguire ed in effetti sembra stravolta, allora, dato che il sentiero si
allarga, la prendo per mano e così entriamo alle 15,30 in paese. Abbiamo
impiegato più di 9 ore.
C’è mercato, un sacco di gente, l’albergue pubblico(110 posti) è stracolmo, non
c’è più posto, giriamo cercando una sistemazione, il piede destro mi fa un male
boia, per fortuna all’ultimo hotel hanno ancora una stanza libera a 40€, goduria
infinita.
Doccia, relax, riposino e poi…di corsa (si fa per dire) alla Cruz Red per farmi
medicare il piede: dopo la doccia ho pensato bene di togliermi il cerotto ed ho
tolto anche dell’altro, lasciando il dito incriminato a carne viva. L’infermiera
è stata molto gentile a gesti, ma quante me ne avrà dette in spagnolo, in
compenso la medicazione ha raggiunto dimensioni tali da costringermi alle
ciabatte.
Il piazzale dove si trovava il prefabbricato medico è pieno di macchine, pullman
e altro, cioè tende di pellegrini, fra cui anche quella dei due giovani
francesi di Cacabelos. Anche lui conciato male con il ginocchio, e per non
smentirsi, con una nuova bottiglia di vino, oltre al resto, per prepararsi ad
affrontare la notte.
Nonostante le precarie condizioni fisiche, e comunque sufficientemente ristorati
e ritonificati, ci siamo fatti il giro panoramico del paese: paesaggi
mozzafiato, fantastiche “pallozas”, le caratteristiche case circolari di pietra
con tetto di paglia a forma di cono. Ci siamo fermati davanti al monumento che
ricorda la vita del sacerdote Don Elias Velina, parroco a O Cebreiro, il padre
del Camino, perché grazie alla sua intraprendenza (sua l’idea delle frecce
gialle) si è innescata la scintilla che di fatto ha riavviato il grande e
misterioso evento del pellegrinaggio ad Limina Jacobi.
Si respira un’aria particolare: nell’intrico delle viuzze, verso sera
quando il grosso dei turisti se n’è andato, sembra di essere in un altro mondo,
un non so che di misterioso che queste case “celtiche” hanno assorbito nei tempi
e nella storia, tramandata anche dalla semplice e nuda chiesa di Santa Maria La
Real.
Antico edificio preromanico a tre navate di solo pietra che t’invita alla
preghiera davanti all’immagine della Madonna (XII secolo), ma soprattutto
davanti al reliquario del “Caliz del Milagro”, il miracolo eucaristico che
avvenne verso la fine del XIV secolo. Ecco la storia: gli attori sono un
sacerdote deluso dalla sua condizione di vita, là inviato ad esercitare il suo
ministero in solitudine, in mezzo a gente zoticona ed ignorante, e un contadino
di un villaggio vicino che per partecipare alla Santa Messa salì al “O
Cebreiro”, nonostante l’imperversare di una tormenta di neve che lo fece
arrivare in ritardo, provocando, in cuor suo, un forte dispiacere. Il sacerdote
che celebrava si domandava a chi servisse quella Messa in un giorno d’inverno
con tempesta di neve in corso, e quando vide arrivare il contadino rise, così,
silenziosamente di lui e di tutta quella fatica per ricevere un po’ di pane e di
vino. Ma, al momento della consacrazione, l’ostia che egli teneva in mano si
trasformò realmente in carne ed il vino in sangue, facendo trasalire il prete.
Il contadino ricco di fede e il prete incredulo sono seppelliti insieme, uno
accanto all’altro, sotto il “Caliz del Milagro” che testimonia una verità
incontestabile ancora oggi, soprattutto oggi, quando vorremmo tutto ridurre ad
una razionale spiegazione, pena la derisione di chi crede in umiltà e fede.
Non potevamo che restare in contemplazione di questo evento, sorpresi per il
dono che ci veniva offerto in questa speciale giornata (alle 20,00 abbiamo pure
assolto al precetto domenicale) di cammino, come un miracolo che si rinnova
proprio per noi. Infatti, se e quando il dubbio assale anche noi, quando si
tratta, comunque, di essere fedeli alla Messa festiva, lasciamoci portare dal
Mistero Eucaristico, vero ristoro e vera presenza amica di Chi non è mai stanco
di noi poveri pellegrini.