XX Domenica T.O. (Anno A)
In questi giorni di tristezza e di dolore per
tanti che vedono i loro cari ritornare dalle vacanze nel lutto e nella
sofferenza incomprensibile, l’unico appiglio sembrerebbe il silenzio e,
sicuramente, l’ascolto della Parola di Dio.
Lasciamoci fare dalle sue parole, troveremo
ristoro anche quando ci ammonisce:
“…osservate il diritto e praticate la
giustizia perché la mia salvezza e la mia giustizia sta per rivelarsi…” (dal
profeta Isaia).
Ecco, la vendetta, l’odio, il livore non sono
il metro con cui rispondere alle offese, il diritto e la giustizia sono invece
gli strumenti che devono essere esercitati per ottenere rispetto e sicurezza.
Non per quieto vivere, evidentemente, non per arrendevolezza, ma per pretendere
che il vivere comune sia improntato sulla libertà di professare la propria
fede, i propri valori, i propri principi, la propria storia, la propria
cultura. In questo mondo che così dobbiamo custodire e che così vogliamo, ci
confronteremo, poi, con la venuta che aspettiamo ogni qualvolta ci accostiamo
all’Eucaristia del Signore, certi che la sua giustizia sarà la nostra condanna
o la nostra salvezza per l’eternità.
In questa logica ci prepariamo con serietà
recitando la preghiera che il Salmo di oggi suggerisce:
“…Dio abbia pietà di noi e ci benedica, su di
noi faccia splendere il suo volto perché si conosca sulla terra la tua via, la
tua salvezza fra tutte le genti…”
E’ una preghiera che ci ricorda, inoltre, quanto
il Signore vuole da noi. Noi dovremmo essere portatori dello splendore del suo
volto, noi dovremmo saper indicare a chi incontriamo, nei nostri giorni, quali
sono le sue vie per poterlo incontrare e poter così anche lui salvarsi. Non
solo, dovremmo anche insegnare a tutte le genti della terra il succo della sua
salvezza.
Evidentemente lo possiamo fare nella libertà,
non possiamo imporla, dobbiamo solo testimoniarla come esperienza di vita che
fa bene, fa crescere nel benessere, dona gioia e serenità, offre prospettive di
progresso e garantisce una vita in pienezza dopo la morte. E scusate se è poco.
D’altronde, con il fagottino che ci viene assegnato al momento del Battesimo,
come dice San Paolo ai Romani, non si può fare di meno:
“…infatti i doni e la chiamata di Dio sono
irrevocabili…”
Cioè, se pure dovessimo decidere di non
sfruttare questi doni, se pure dovessimo fare orecchie da mercante alla
chiamata vocazionale per una vita da santi, queste grazie rimangono, comunque,
impresse nel nostro essere, nell’anima e nel corpo. Prima o poi, salvo aver
promesso e venduto il tutto al diavolo, ci ritorneranno utili. Quanto meno per
comprendere e lasciarsi fare dalla sua Parola, quando veramente vorremo
ascoltarla, come quella del Vangelo di oggi:
“…ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi
a lui, dicendo: “Signore, aiutami!”…
“Non è bene prendere il pane dei figli e
portarlo ai cagnolini.”…E’ vero, Signore,
disse la donna, eppure i cagnolini mangiano
le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni. Allora Gesù le replicò: “
Donna, grande è la tua fede.”
Badate bene, quella donna, quella madre che
implorava per sua figlia, si prostrò. Domandiamoci, ma quante volte noi ci
prostriamo davanti al Signore? Adesso inginocchiarsi sembra sia diventato un
optional mal sopportato da buona parte del clero. Eppure è da quel gesto che
s’innesta un colloquio, un ascolto, una supplica che svelano la misericordia di
Dio, da una parte, e la grandezza, nell’umiltà, della madre dall’altra.
Con noi Gesù è buono oltre misura, è vero ci
bastano le briciole della sua Ostia Santa, ma solo perché nel nostro
prostrarci, anche indegnamente, nel riceverle, in cuor nostro, preghiamo
“Signore, aiutami”.
Da quelle briciole raccolte come un dono
dalla sua tavola, ricaviamo la certezza che solo Lui è la nostra salvezza. E
questo ci basta.
Is 56,1.6-7 / sal 66(67) / Rm 11,13-15.29-32
/ Mt 15,21-28
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