LE PREMURE DI DIO


Ascensione del Signore     
Sembra di vedere un’istantanea odierna: “…gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi, però, dubitarono…” (Mt 28,16-20).
No, una differenza c’è, quasi più nessuno si prostra davanti al Santissimo, ci si passa davanti come se fosse un soprammobile, al massimo uno sbracciare di mosche con un anchilosato piegamento di gamba.
Per il resto c’è tutta la Chiesa di ieri e di oggi: “…essi, però, dubitarono”. Certo, non avevano ancora incontrato Paolo che nella lettera agli Efesini scriveva:
“…tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: essa è il corpo di Lui, la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose.”

CALZADA DEL COTO – RELIEGOS 14.08.2009 XVII tappa

“Quando senti qualcuno cantare, fermati e ascolta, perché un cuore che odia non ha canzoni”
Ormai ci abbiamo preso gusto e alle 5.45 siamo già sul cavalcavia che supera la superstrada Burgos-Leon, pronti a lasciare il paese di Calzada nel buio della notte. Non come ladri, ma come viandanti speranzosi di un’altra giornata felice.
Riprendere il sentiero non è stato facile a causa di un cantiere stradale, uno dei tanti di questa Spagna in perenne fermento elettorale. Il nostro passaggio ha svegliato di soprassalto un operaio che se la dormiva di grosso dietro a dei cartelli e anche noi ci siamo un po’ spaventati, quasi mettendo le ali per allontanarci il più presto possibile da quella gimcana edile.

I COMANDAMENTI DELLA VITA


Sesta Domenica di Pasqua(Anno A)
Il brano della prima lettera di Pietro che ci viene proposto mi mette sempre in crisi:
“…pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi della ragione della speranza che è in voi”.
Mi obbliga ad un esame di coscienza continua. Come ho dato ragione della mia fede oggi? Ho approfittato di quella o questa occasione per parlare della speranza che viene da Gesù Cristo? Ho fatto riferimento in modo chiaro al nostro Dio, al Dio Cattolico, perché in questo io credo?
E penso a tutto quello che mi accade di giorno in giorno: il lottare per il lavoro, il donare quel poco di tempo che ti rimane per non fare cadere la speranza in chi ha difficoltà, problemi, sicuramente più grandi dei tuoi. Come la fanciulla che aspetta un bambino e non sa come venirne fuori; come il ragazzo che arriva in comunità e non sa cosa aspettarsi; come quella madre ormai al lumicino di vita da trascorrere in una casa di riposo e non riesce ad accettarne l’epilogo.

IL NOSTRO SCUDO



Quinta Domenica di Pasqua (Anno A)
Vado con la memoria agli antichi crociati con la croce rossa sullo scudo quando leggo il Salmo: “…egli è nostro aiuto e nostro scudo…”. Quelli mettevano in gioco la loro vita, sicuramente molti, per permettere ai credenti di professare la propria religione, soprattutto presso i luoghi dove ha vissuto Gesù. Noi cosa mettiamo in gioco, oggi, di fronte alle minacce delle persecuzioni che milioni di cristiani sopportano con eroica determinazione? Il loro martirio ci lascia indifferenti, anzi vediamo una crescente apostasia, un progressivo indifferentismo per tutto ciò che riguarda la vita della Chiesa.
Sono turbato per tutto questo, lo ammetto, ma Gesù ci richiama, ci consola:
“…non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio, abbiate fede anche in me.”

CALZADILLA DE LA CUEZA – CALZADA DEL COTO XVI tappa 13 Agosto 2009

La vita presente è un cammino che ci porta al termine della nostra speranza, allo stesso modo in cui si vede sui germogli il frutto che sta per sbocciare dal fiore; grazie al fiore il frutto giunge all’esistenza, anche se il fiore non è il frutto. Allo stesso modo, la messe che nasce dai semi, non appare subito con la spiga, ma dapprima cresce l’erba, poi quando è morta l’erba, si erge lo stelo di grano e così il seme matura in cima alla spiga…così, la morte, la vecchiaia, la giovinezza, l’infanzia e la formazione dell’embrione, tutti questi stati, sono come altrettante erbe, steli, spighe, che formano un cammino, una storia e una potenzialità che permettono di giungere alla maturità attesa.  (San Gregorio Nisseno)
Alle 5,30 la Mariella mi sveglia, ha sul capo la pila da “minatore” e sta già preparandosi per la partenza. Cercando di fare nel modo più silenzioso possibile, quasi tutti ancora dormono, siamo in strada alle 6,00 in punto, come da programma ed è buio pesto, appena fuori dall’abitato. Il cielo è limpidissimo, le stelle si vedono tutte e il fatto di aver dormito male, in una camerata da almeno 50 persone, con gli inconvenienti che questo comporta, per esempio avere sopra di noi due orientali con cui non si è riusciti a scambiare neppure un minimo, non dico di parole, ma neppure di gesti, è stato subito dimenticato per il piacere di questo momento. Oltretutto, allietato dalla visione di non meno di dieci stelle cadenti. Era tutto un indicare all’altro: “guarda quella,  un’altra!, un’altra ancora” . Quanti desideri sono inconsciamente scivolati sui nostri sorrisi, consapevoli che quanto meno uno già si stava realizzando: camminavamo felici, insieme, mano nella mano guardando il cielo e la luna, leggeri e spensierati.
In lontananza un’altra forte luce si stagliava, isolata, non riuscivamo a capirne l’origine, poi al primo paese che incontrammo, Ledigos, la nostra curiosità fu soddisfatta: era un carcere di massima sicurezza. La brezza che sentivamo sulla pelle ci fece riflettere sul senso di libertà che viviamo e di cui puoi naturalmente goderne, come puoi, all’improvviso, esserne privato.
E noi, avanti attraverso i “campos”. Siamo andati bene fino alle 11,00. Ad ogni paese una pausa. E’ una sensazione strana e particolare ogni qualvolta vedi all’orizzonte il segno di un paese, di solito tratteggiato da un campanile, cominci subito a cercare di immaginare come saranno le case, le vie, lunghe o ingolfate in piazzette, slarghi o incroci, che persone incontreremo, e già il leggerne il nome è un’emozione come quando ti compare il cartello di Terradillos de Los Templarios. Un nome che già dice la storia di questa cittadina protetta e tramandata dai famosi cavalieri cristiani.
Oppure, Moratinos, che ci meravigliò con alcune sue case interrate ed, infine, San Nicolas del Real Camino che deve, invece, la sua fortuna proprio al Cammino, viceversa non sarebbe altro che un paesello della pianura palenciana. A proposito, dopo si entra nella provincia di Leon. Subito s’incontra la cittadina più importante della giornata: Sahagun. Chissà perché, mi sembra più che altro un nome asiatico sudorientale, in realtà è proprio la classica città spagnola. Sul sentiero dal quale già si intravede Sahagun ci viene incontro un tizio in motorino che ci offre alcuni volantini
 reclamizzanti posti e luoghi dove mangiare e dormire, comincia la frenesia dell’accaparramento dei pellegrini perché ormai anche questo è “affari”. Per ritornare al giusto spirito, decidiamo di prendere la deviazione per passare davanti all’Ermita de La Virgen del Puente, ma era chiusa. Pazienza. La città è viva, frenetica, con parecchio traffico, il centro storico come si conviene per una città antica, mettiamo il “sello” e decidiamo di proseguire. Per ripida discesa arriviamo al Puente Del Canto, molto bello, costruito nel 1085 e dopo aver superato il rio Cea ci troviamo al cospetto del leggendario Prado de Las Lanzas (campo delle lance) dove si combattè una cruenta battaglia fra le truppe cristiane di Carlo Magno e quelle saracene del caudillo Aigolando. La leggenda dice che la notte prima dello scontro, presso l’accampamento cristiano i soldati infilzarono le loro lance nel terreno preparandosi alla battaglia nella preghiera. Al mattino trovarono quelle lance come fiorite, segno della benevolenza del cielo per quello che sarebbe stato l’esito del combattimento. Morirono in 40.000 ma la vittoria cacciò in modo definitivo i mori da quella regione.
Noi, per riposarci un po’, invece, ci dedicammo alla visita di una chiesa lì vicino, non ricordo il nome, forse dedicata a San Francesco, dove, con sorpresa e piacevole simpatia, ammirammo un altare in cui c’era una tela raffigurante Sant’Antonio che gioca a carte con Gesù Bambino.
Nel frattempo, svanita la freschezza fisica mattutina, il sole faceva il suo dovere e in quel di mezzogiorno è implacabile. Perciò non se ne poteva più. E la Mariella ad un certo punto, acquattatasi sotto un alberello, diceva che lei non faceva più un passo. Solo il profilarsi di un ennesimo campanile al di là di una superstrada, ci convinse che eravamo giunti alla meta: Calzada del Coto. Erano le 13.30.
Ci troviamo di fronte ad un piccolo caseggiato, una specie di spogliatoio per i nostri campi da calcio di periferia, con la scritta “Albergue del peregrino San Roque”. Era aperto, ma non c’era nessuno, informazioni presso il bar del paese. Andiamo al bar e il gestore ci dice che dobbiamo aspettare che torni sua moglie, ne approfittiamo per il “pranzo” e ritorniamo al “residence”. Nel frattempo si è quasi riempito: all’ingresso, di fronte ci sono i servizi, ampi con una doccia e acqua tassativamente fredda, a sinistra una piccola camerata, circa venti letti, totalmente già occupata da un gruppo di spagnoli, a destra idem, ma occupata solo da due suore coreane che avevamo già intravisto alcuni giorni prima. Ci sistemiamo nel più assoluto silenzio, tanto le monache erano impegnate nella preghiera. Dopo la rinfrescata e il riposo occorre medicare i piedi di Mariella che ha un paio di vesciche sui talloni, ma con nostro orrore scopriamo di non avere più negli zaini il necessaire per le medicine e i prodotti di pronto soccorso: l’abbiamo dimenticato, cioè ormai perso, a Calzadilla. Probabilmente, senza volerlo, i nostri vicini del piano di sopra, orientali, devono averlo spinto sotto il letto e quando al mattino, al buio, abbiamo preparato gli zaini non ce ne siamo accorti.
Va bene, ci mettiamo una pietra sopra e andiamo a cercare una farmacia (sic), c’è solo una bottega, ma non hanno ago e filo e, questa volta, neppure le buone intenzioni della signora gestora che va a cercarlo in casa e non lo trova, riescono a risolvere la faccenda.
Il paese non è che un gruppo di case affacciate sull’unica via, perciò ci stravacchiamo su una panchina, sull’altra ci stavano le suore (di clausura?) che non abbiamo mai sentito parlare. Sarà una caratteristica degli orientali.
In compenso gli spagnoli sono l’opposto e meno male perché il resto della giornata e della sera abbiamo potuto passarla con loro. Erano un buon numero, tutti amici, quasi della nostra generazione, uno di loro parlava molto bene l’italiano e ci faceva da traduttore oltre che da informatore. Ogni anno organizzano una decina di giorni di pellegrinaggio, cioè fanno il Cammino a pezzi, e quest’anno si fermeranno a Leon.
Sono molto ben affiatati e questa sera più gasati del solito perché uno di loro compie gli anni. Già la luna era alta, le suore erano scomparse, ma i baccanali sul prato antistante lo “spogliatoio” erano appena all’inizio. Siamo stati invitati a parteciparvi e così fra una bevuta ed una fetta di torta siamo giunti all’epilogo della nostra tappa. Al buio, con una lama di luce che entrava dalla finestra per un’imposta non del tutto chiusa, per doveroso rispetto delle evanescenti suore, sentiamo le ultime lontane iberiche risate, scivolando nel sonno riparatore.

L’ABBONDANZA DELLA VITA



Quarta domenica di Pasqua(Anno A)
L’immagine del buon Pastore che chiama le sue pecore per nome è di una poesia unica: “…Egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori…”.
E’ facile aggiungere l’iconografia che vede Gesù con sulle spalle l’agnellino e il quadro è terminato. Qualsiasi profilo di facebook, o quasi, lo utilizzerebbe senza esitazione.
Noi, invece, dobbiamo guardare, o meglio, ascoltare questo passo del Vangelo come un diretto riferimento alla propria persona.
E’ proprio il mio nome, il tuo nome che vengono declamati, è proprio davanti a noi che Gesù cammina. Come ad indicarci il pascolo presso cui andare a rifocillarsi  ed è un grande “prato verde dove nascono speranze…” come cantava Gianni Morandi.