XIIIma Domenica T.O.(Anno A)
“…chi accoglie voi accoglie me, e chi
accoglie me accoglie colui che mi ha mandato…chi avrà dato da bere anche un
solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in
verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa.”
Mi sento di dire che non m’importa del mondo,
soffro per questa nostra Chiesa smarrita, assorbita dal mondo, una Chiesa che
non è più cattolica perché “…non esiste un Dio cattolico…” secondo qualcuno.
Siamo alla frutta. Eppure, dal Secondo Libro dei Re sappiamo che c’è ancora
qualche uomo di Dio:
“…io so che è un uomo di Dio, un santo colui
che passa sempre da noi. Facciamo per lui una piccola stanza superiore…tu
stringerai un figlio fra le tue braccia.”
Sì, qualche uomo di Dio come il Cardinale
Cafarra, come il Vescovo Crepaldi, hanno preso possesso della “stanza
superiore” e sulla vita del piccolo Charlie e dei suoi genitori riescono ad
alzare profeticamente la loro voce.
Coraggio, sembra di sentire, rivolti alla
madre di Charlie, continua a “stringere il tuo figlio fra le tue braccia". Non ti curare di chi è indifferente alla
sorte del tuo figliolo, senti come ammonisce il Salmo:
“…ricorda quanto è breve la mia vita, invano
forse hai creato ogni uomo? Chi è l’uomo che vive e non vede la morte? Chi
potrà sfuggire alla mano degli inferi?”.
No, che non ha creato invano la vita di
nessuno di noi. Che non ha donato la vita di Charlie per vederla oltraggiata,
per lasciare che l’arroganza di pochi uomini possa dare volontariamente la
morte ad un innocente. Costoro sappiano che la “vita è breve” per quanti anni
si possano accumulare, e che nessuno può “sfuggire alla mano degli inferi” se
non chiede perdono pentendosi con contrizione e riparazione.
Perché, qui sta la misericordia del Buon Dio,
come leggiamo nella lettera ai Romani:
“…Egli morì, e morì per il peccato una volta
per tutte; ora invece vive, e vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti
al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù.”
Sarà così anche per Charlie. Sul suo
corpicino ammalato, sulla sua croce innocente, come quella di Cristo, si
accanisce la morte, la tenebra del peccato, ma sappiamo bene che, anche grazie
alla testimonianza amorosa dei suoi genitori, egli ha già vinto la morte, è il
messaggero del Dio vivente.
Se preghiamo, piangiamo, soffriamo per un
bimbo inerme, assalito, minacciato, abbandonato, sfruttato, lo facciamo perché
crediamo nella dignità di creatura di Dio impressa da sempre nella sua vita,
nella nostra vita, indipendentemente dalla condizione in cui si trova.
Non lo facciamo per la ricompensa, pur se Gesù
ce la promette, nella sua generosità, non lo facciamo per presentarci con una
medaglia al petto. Lo facciamo perché nel viso e nel corpo di quel neonato è
impresso il volto di nostro figlio, di nostro padre, di nostra madre, di nostro
fratello, di nostra sorella. Ed è proprio da questi che dobbiamo cominciare ad
essere “prossimo”, a non andare “oltre”, a fermarci, contemplare e condividere,
compatire e, se possibile, nella preghiera, ottenere il miracolo per la sua
vita, per riconoscere, sempre, il miracolo della vita.
2Re 4,8-11.14-16a / Sal 88(89) / Rm 6,3-4.8-11 / Mt
10,37-42
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