SAN MARTIN DEL CAMINO – ASTORGA 17.08.2009 XX tappa

“Santiago” fu il grido con il quale i cavalieri castigliani si gettavano in battaglia.
“Mira, Mira: ecco il barone per cui là giù si vicita Galizia”  (Paradiso XXV, 13-18)
“…in modo strecto non s’intende peregrino se non chi va verso la casa di sa’ Jacopo o riede…” (Dante, Vita nova XL., 6)
Questa mattina ci avviamo alle 5,45 perché vorremmo arrivare ad Astorga sul presto. Quest’anno interrompiamo qui la nostra seconda parte di cammino. Prenderemo, perciò, un pullman per Burgos dove pernotteremo ed il giorno successivo andremo a recuperare la macchina a Santo Domingo de la Calzada, per il ritorno a casa.
La giornata inizia bene, siamo sufficientemente riposati, un po’ dispiaciuti perché finisce l’avventura, ma non demordiamo di goderne fino in fondo lo spirito.
L’inizio è uguale al termine di ieri, stessa traccia a fianco della statale, lampioni accesi, profili di case, lampi di fanali che corrono via veloci e silenzio cadenzato dallo scricchiolio sotto le nostre scarpe.
L’atmosfera è proprio quella giusta per invitarci all’ammirazione del ponte gettato sul rio Orbigo che divide i due agglomerati di case, Puente de Orbigo e Hospital de Orbigo. Il ponte è detto di “Paso Honroso” che significa “Passo d’onore”. Occorre spiegare il perché. Si narra che un cavaliere leonense, Suero de Quinones, nell’anno compostellano (1434) fu dileggiato per una questione di amore e di onore e, pertanto, appellandosi a Santiago, giurò di non lasciar passare nessun cavaliere su quel ponte per almeno un mese. E così riuscì a fare, aiutato da un piccolo manipolo di compagni d’arme, sfidando oltre trecento cavalieri giunti all’occorrenza da tutta l’Europa. Uscitone vittorioso, riacquistata la sua dignità di cavaliere senza macchia e senza paura, dedicò il resto della sua vita al servizio di Santiago nella protezione e nell’assistenza ai pellegrini diretti in Galizia.
E’ una storia che mi piace e, calcando l’acciottolato del lunghissimo ponte, ben venti arcate, quasi mi pareva di sentire galoppi e incitamenti, trombe lontane e clangori di spade, in uno sventolio di bandiere e rulli di tamburi. In lontananza, la linea dei Montes de Leon permette ai miei pensieri di innalzarsi liberi e forieri di aurea fantasia, come ben si sarà capito.
Il brontolio dello stomaco e le sollecitudini della Mariella mi riportano con i piedi per terra e, appena dopo la fine del ponte, approfittiamo della locanda che su di esso si affaccia per la solita succulenta colazione.
La parte di paese che si chiama Hospital, evidentemente perché in questo luogo v’era uno dei più importanti “Ospedale” per pellegrini della tratta, finisce con un dilemma: proseguire costeggiando la statale o prendere per l’interno? Optiamo per la seconda scelta perché siamo stufi di ricorrenti roboanti sferragliare di automezzi e perché, forse, questa via è più corta.
Soprattutto, lo scoprimmo presto, era più bella, seppur più faticosa, in quanto bisogna salire, anche se non con dislivelli proibitivi, per passare attraverso i campestri paesini di Villares de Orbigo e Santibanez de Valdeiglesias.
Fra piccoli boschi, radure, fattorie e stalle, mucche e vitellini, seguendo lo sterrato giungiamo presso una casa diroccata dove, con nostra sorpresa, c’è chi si è piazzato con una bancarella per offrire prodotti vari ai pellegrini, prima di essere riassorbiti dall’ormai immediata vicinanza della città di Astorga. Infatti, da lì a poco un notevole pianoro con al centro una grande croce, il “Crucero de Sto. Toribio”, si presta da balcone per gustare la sottostante Astorga con la sua cattedrale, le sue torri, le sue mura e i suoi palazzi.
La discesa, breve e ripida, ci catapulta al centro del paese San Justo de La Vega, dove ci fermiamo per visitare la chiesa. Il giovane sacerdote, parroco di questa comunità, ci avvicina e comincia a parlarci in italiano. Giuro che non portiamo alcuna banderuola sullo zaino. Tant’è ci presenta la sua chiesa, e ci benedice per il prosieguo del viaggio. Nient’altro mi è rimasto impresso di questo paese, neppure il segno di Zorro, memore del vero nome di quell’illustre eroe della mia infanzia che tanto mi divertiva con il panzone del sergente Garcia.
Entriamo ad Astorga per la Porta Sol ed è di buon auspicio, pur se la strada è tutta in salita e dopo sette ore di cammino le gambe hanno giustamente ragione di protestare.
Astorga è una bella città, antica, fondata dai romani, importante centro commerciale perché qui s’incrociano la via Traiana (che inizia fin dall’attuale Bordeaux) e la via “De la Plata”, “dell’argento”, proveniente dall’Andalusia.
Prima sede episcopale della Chiesa Spagnola, ha, quindi, anche una notevole importanza dal punto di vista religioso. La cattedrale è bellissima, ma noi l’abbiamo potuta vedere solo dall’esterno perché era chiusa. Basta guardare una qualsiasi fotografia per esserne soverchiati, dallo stile, al solito gotico, con le possenti torri gemelle che affiancano il magnifico portale. Interessante anche il Palazzo Vescovile, in stile neogotico, moderno, studiato e realizzato dal grande A. Gaudì.
Per finire, un’altra nota, questa volta godereccia, perché dicono che Astorga sia la capitale del cioccolato. L’abbiamo verificato. E con questo ci siamo dati appuntamento per l’anno prossimo.