sopra i prati e le colline
và, dillo alle montagne
che Cristo è con noi.
Eccoci qua, un anno dopo, in pieno anno composteliano. Quando la festa di San
Giacomo cade di domenica (il 25 luglio) viene indetto, appunto, l’anno
composteliano. Il prossimo cadrà nel 2021.
Ieri siamo arrivati in macchina ad Astorga dopo un viaggio di due giorni, come
negli anni precedenti, attraversando tutta la Francia e fermandoci a dormire
sempre a Bourguette, appena dopo Roncisvalle. Naturalmente ne abbiamo
approfittato per prendere la solita Messa del pellegrino concelebrata dai soliti
sacerdoti, di cui quello che dà la benedizione finale ai pellegrini assomiglia
in modo impressionante al nostro vescovo emerito Mons. Locatelli,
mangiare la solita trota alla cena dei
pellegrini e gustare l’aria frizzante di chi è all’inizio della grande avventura
del Cammino. C’era tanta gente, faceva freddo (13 gradi) e pioveva.
Il tragitto da Roncisvalle ad Astorga è stato meno faticoso, anzi addirittura
piacevole, perché mentre attraversavamo le varie regioni, potevano vedere e
riandare alle tante tappe percorse, indicandoci a vicenda luoghi, paesi e strade
riconosciute ed ancora percorse da altri pellegrini. Addirittura accade
l’incredibile per la sua coincidenza. Sappiamo che un gruppo di amici
dell’Associazione Passodopopasso sono in Cammino da giorni perché impegnati
nella percorrenza totale del cammino, ma non sappiamo dove si trovano. Noi ci
fermiamo per una sosta a Villafranca Montes de Oca, presso la bottega ormai ben
conosciuta per il formidabile sfilatino e mentre ci abbuffiamo entrano il
Roberto, il Riccardo, il Federico che ci guardano sbigottiti, mai più pensavano
di incontrarci e la festa è grande. Salutiamo anche gli altri del gruppo,
Ultreia, e riprendiamo l’auto che ci condurrà per le 14,00 al nostro albergo
“Gaudì” in Astorga. Proprio nella piazza principale, con cattedrale (chiusa, è
aperta solo al mattino e, quindi, i pellegrini difficilmente riescono a
visitarla) e palazzo vescovile. Sistemiamo la macchina in garage e ci sistemiamo
anche noi, devo dire, alla grande, ma ce lo concediamo perché il vero
pellegrinaggio non è ancora iniziato. Pertanto passiamo il pomeriggio e la
serata come semplici turisti e, in questa veste, la città è una miniera da
scoprire nella sua storia e nella sua attualità. Proprio da goderne.
Adesso, bando alle ciance, e passiamo alla nostra peculiare missione:
raggiungere la tomba dell’apostolo Giacomo cui deporre la sfilza di intenzioni e
di richieste che metà ne bastano.
E alle 6,30 siamo già sulle strade di Astorga che, con le famose frecce gialle,
ci indicano da che parte dobbiamo andare. C’è dietro di noi solo una pellegrina
che sarà sempre ai nostri calcagni per tutto il giorno., quasi volesse fidarsi
di noi come guide. La prima pausa ce la prendiamo presso il sobborgo di Murias
de Rechivaldo, dove è d’obbligo una preghiera in una cappella davanti ad una
effige di “Ecce Homo”, di cui custodisco gelosamente il santino.
La seconda pausa, invece, è per la colazione che consumiamo a St. Catalina de
Somoza in un bar “ateo”, o quanto meno anti-clericale,
in quanto faceva ben mostra, incorniciato, un foglio con fotografia di
Benedetto XVI strappata.
Appena dopo l’uscita da questo paese, si inizia a salire, seppur dolcemente, e
la campagna brulla e polverosa ci accompagna fino ad El Ganso, un altro piccolo
agglomerato di case che senza il “Camino”, sarebbe già dimenticato da Dio. Per
adesso è ben caratterizzato dal gestore dell’unico bar, in stile farwest, che
sembra proprio un cowboy in piena regola. La sosta, quando s’intravede un bar è
doverosa anche per sfruttare i servizi, ma la cosa non è raccomandabile in
questo posto, a malapena si riusciva ad entrarci ed a chiudere la porta,
lasciando all’immaginazione tutto il resto. Però e comunque, rimane un quadro
pittoresco.
Riprendiamo, sempre in salita, addentrandoci in piccoli boschi e attraversando
ampie radure. In una di queste incontriamo un battaglione di ragazzi, ben
inquadrati da una suora in divisa, in una fase di istruzioni per la giornata. Un
saluto caloroso e via per Rabanal del Camino, importante tappa, seppur minuscolo
paese, con due rifugi, al punto che a volte i pellegrini sono più degli
abitanti.
Siamo a 1200mt slm e sappiamo che dobbiamo arrivare ai 1440mt slm, perciò ci
facciamo animo e riprendiamo con vigore. Che poco alla volta viene meno,
complice il caldo e l’ansia del timore di non farcela, visto che siamo alla
prima giornata di cammino. Incrociamo due fanciulle che scendono e ci dicono di
non disperare, Focebadon è ormai a due svolte. Infatti, ecco dei tetti e poi il
resto, davvero di quattro case semi diroccate
che costituiscono il “centro storico” del paese. La strada principale è
in terra battuta, larga e polverosa, subito s’intravede un caratteristico
ristorante, la Taberna de Gaia, poi un rifugio con l’insegna Monte Irago, ed
infine il piccolo rifugio parrocchiale, di una parrocchia che non c’è, perché
anche la chiesa è puntellata, mentre la canonica è stata, invece, trasformata
quel tanto che basta per accogliere i pellegrini che sanno accontentarsi. Noi
intendiamo accontentarci e saliamo i gradini della scala che porta al tavolo
dove una giovane suora ci accoglie con un largo sorriso, avvertendoci, subito
che dovremo accomodarci per terra. Ci sta bene, ed entriamo subito nella povertà
di spirito che lo stesso ambiente ispira. La suora e la sua socia consorella
sono in missione, mandate dalla loro congregazione, sono Agostiniane, qui per
tutta l’estate. Parlano bene l’italiano, sono state a Pavia presso la tomba di
Sant’Agostino e per questo entriamo subito in sintonia, come se fossimo noi i
custodi di quella tomba.
Ci arrangiamo con i nostri giacigli, ci mettiamo in fila per la doccia (fredda)
e ci appartiamo, fuori, all’ombra di un portico, per il consumo del frugale
pranzo. Il silenzio, il caldo, la stanchezza, ci avvolge mentre mangiamo, ma
mentre chiacchieriamo vedo che la Mariella, senza nulla dire, si accascia, con
gli occhi rovesciati. La sorreggo prima che vada a sbattere, le sbatto un poco
il viso, la chiamo, quasi urlando, sicuramente spaventato, finché non vomita
tutto e si sveglia chiedendomi cos’è successo. Meno male, tutto è bene quel che
finisce bene, si dice a scampato pericolo, anche una cattiva e improvvida
digestione. Il resto del pomeriggio trascorre nel riposo, nel fare il bucato e
nel girare quei luoghi così affascinanti con un paesaggio da cartolina. Prima
della cena, in rifugio, comunitaria, preparata da alcuni pellegrini, le suore ci
invitano, chitarra e tamburino in mano, ad un momento di amicizia, cantando e
raccontando il proprio, ciascuno nella sua lingua. La chitarra passava di mano
in mano per l’intonazione di un canto della propria nazione. Due pellegrine
austriache intonano una canzone che ci sembra famigliare e riusciamo a capire
che si tratta di “Va dillo alle montagne…” e quando finiscono loro, attacchiamo
io e Mariella, in italiano, nel tripudio generale. Un momento indimenticabile,
come la cena a base di spaghetti e insalata mista, in un clima di allegria e di
comunione unico. Poi l’invito, per chi volesse, ad un breve incontro di
preghiera presso l’attigua cappella, momentaneamente sgombra dei materassini
degli ultimi arrivati, dove Suor Teresa con una riflessione a più lingue ci ha
posto le mani sul capo come segno di benedizione e di accompagnamento per il
proseguo del Camino. A questo punto la comunione ha raggiunto l’apice e le
stelle sulla volta infinita, prima della buona notte, ci ricordavano la via, la
famosa via lattea, verso l’occidente, verso il Santo.