ASTORGA – FONCEBADON 05.08.2010 21ma Tappa

Và, dillo alle montagne,
sopra i prati e le colline
và, dillo alle montagne
che Cristo è con noi.
Eccoci qua, un anno dopo, in pieno anno composteliano. Quando la festa di San Giacomo cade di domenica (il 25 luglio) viene indetto, appunto, l’anno composteliano. Il prossimo cadrà nel 2021.
Ieri siamo arrivati in macchina ad Astorga dopo un viaggio di due giorni, come negli anni precedenti, attraversando tutta la Francia e fermandoci a dormire sempre a Bourguette, appena dopo Roncisvalle. Naturalmente ne abbiamo approfittato per prendere la solita Messa del pellegrino concelebrata dai soliti sacerdoti, di cui quello che dà la benedizione finale ai pellegrini assomiglia in modo impressionante al nostro vescovo emerito Mons. Locatelli,  mangiare la solita trota alla cena dei pellegrini e gustare l’aria frizzante di chi è all’inizio della grande avventura del Cammino. C’era tanta gente, faceva freddo (13 gradi) e pioveva.
Il tragitto da Roncisvalle ad Astorga è stato meno faticoso, anzi addirittura piacevole, perché mentre attraversavamo le varie regioni, potevano vedere e riandare alle tante tappe percorse, indicandoci a vicenda luoghi, paesi e strade riconosciute ed ancora percorse da altri pellegrini. Addirittura accade l’incredibile per la sua coincidenza. Sappiamo che un gruppo di amici dell’Associazione Passodopopasso sono in Cammino da giorni perché impegnati nella percorrenza totale del cammino, ma non sappiamo dove si trovano. Noi ci fermiamo per una sosta a Villafranca Montes de Oca, presso la bottega ormai ben conosciuta per il formidabile sfilatino e mentre ci abbuffiamo entrano il Roberto, il Riccardo, il Federico che ci guardano sbigottiti, mai più pensavano di incontrarci e la festa è grande. Salutiamo anche gli altri del gruppo, Ultreia, e riprendiamo l’auto che ci condurrà per le 14,00 al nostro albergo “Gaudì” in Astorga. Proprio nella piazza principale, con cattedrale (chiusa, è aperta solo al mattino e, quindi, i pellegrini difficilmente riescono a visitarla) e palazzo vescovile. Sistemiamo la macchina in garage e ci sistemiamo anche noi, devo dire, alla grande, ma ce lo concediamo perché il vero pellegrinaggio non è ancora iniziato. Pertanto passiamo il pomeriggio e la serata come semplici turisti e, in questa veste, la città è una miniera da scoprire nella sua storia e nella sua attualità. Proprio da goderne.
Adesso, bando alle ciance, e passiamo alla nostra peculiare missione: raggiungere la tomba dell’apostolo Giacomo cui deporre la sfilza di intenzioni e di richieste che metà ne bastano.
E alle 6,30 siamo già sulle strade di Astorga che, con le famose frecce gialle, ci indicano da che parte dobbiamo andare. C’è dietro di noi solo una pellegrina che sarà sempre ai nostri calcagni per tutto il giorno., quasi volesse fidarsi di noi come guide. La prima pausa ce la prendiamo presso il sobborgo di Murias de Rechivaldo, dove è d’obbligo una preghiera in una cappella davanti ad una effige di “Ecce Homo”, di cui custodisco gelosamente il santino.
La seconda pausa, invece, è per la colazione che consumiamo a St. Catalina de Somoza in un bar “ateo”, o quanto meno anti-clericale,  in quanto faceva ben mostra, incorniciato, un foglio con fotografia di Benedetto XVI strappata.
Appena dopo l’uscita da questo paese, si inizia a salire, seppur dolcemente, e la campagna brulla e polverosa ci accompagna fino ad El Ganso, un altro piccolo agglomerato di case che senza il “Camino”, sarebbe già dimenticato da Dio. Per adesso è ben caratterizzato dal gestore dell’unico bar, in stile farwest, che sembra proprio un cowboy in piena regola. La sosta, quando s’intravede un bar è doverosa anche per sfruttare i servizi, ma la cosa non è raccomandabile in questo posto, a malapena si riusciva ad entrarci ed a chiudere la porta, lasciando all’immaginazione tutto il resto. Però e comunque, rimane un quadro pittoresco.
Riprendiamo, sempre in salita, addentrandoci in piccoli boschi e attraversando ampie radure. In una di queste incontriamo un battaglione di ragazzi, ben inquadrati da una suora in divisa, in una fase di istruzioni per la giornata. Un saluto caloroso e via per Rabanal del Camino, importante tappa, seppur minuscolo paese, con due rifugi, al punto che a volte i pellegrini sono più degli abitanti.
Siamo a 1200mt slm e sappiamo che dobbiamo arrivare ai 1440mt slm, perciò ci facciamo animo e riprendiamo con vigore. Che poco alla volta viene meno, complice il caldo e l’ansia del timore di non farcela, visto che siamo alla prima giornata di cammino. Incrociamo due fanciulle che scendono e ci dicono di non disperare, Focebadon è ormai a due svolte. Infatti, ecco dei tetti e poi il resto, davvero di quattro case semi diroccate  che costituiscono il “centro storico” del paese. La strada principale è in terra battuta, larga e polverosa, subito s’intravede un caratteristico ristorante, la Taberna de Gaia, poi un rifugio con l’insegna Monte Irago, ed infine il piccolo rifugio parrocchiale, di una parrocchia che non c’è, perché anche la chiesa è puntellata, mentre la canonica è stata, invece, trasformata quel tanto che basta per accogliere i pellegrini che sanno accontentarsi. Noi intendiamo accontentarci e saliamo i gradini della scala che porta al tavolo dove una giovane suora ci accoglie con un largo sorriso, avvertendoci, subito che dovremo accomodarci per terra. Ci sta bene, ed entriamo subito nella povertà di spirito che lo stesso ambiente ispira. La suora e la sua socia consorella sono in missione, mandate dalla loro congregazione, sono Agostiniane, qui per tutta l’estate. Parlano bene l’italiano, sono state a Pavia presso la tomba di Sant’Agostino e per questo entriamo subito in sintonia, come se fossimo noi i custodi di quella tomba.
Ci arrangiamo con i nostri giacigli, ci mettiamo in fila per la doccia (fredda) e ci appartiamo, fuori, all’ombra di un portico, per il consumo del frugale pranzo. Il silenzio, il caldo, la stanchezza, ci avvolge mentre mangiamo, ma mentre chiacchieriamo vedo che la Mariella, senza nulla dire, si accascia, con gli occhi rovesciati. La sorreggo prima che vada a sbattere, le sbatto un poco il viso, la chiamo, quasi urlando, sicuramente spaventato, finché non vomita tutto e si sveglia chiedendomi cos’è successo. Meno male, tutto è bene quel che finisce bene, si dice a scampato pericolo, anche una cattiva e improvvida digestione. Il resto del pomeriggio trascorre nel riposo, nel fare il bucato e nel girare quei luoghi così affascinanti con un paesaggio da cartolina. Prima della cena, in rifugio, comunitaria, preparata da alcuni pellegrini, le suore ci invitano, chitarra e tamburino in mano, ad un momento di amicizia, cantando e raccontando il proprio, ciascuno nella sua lingua. La chitarra passava di mano in mano per l’intonazione di un canto della propria nazione. Due pellegrine austriache intonano una canzone che ci sembra famigliare e riusciamo a capire che si tratta di “Va dillo alle montagne…” e quando finiscono loro, attacchiamo io e Mariella, in italiano, nel tripudio generale. Un momento indimenticabile, come la cena a base di spaghetti e insalata mista, in un clima di allegria e di comunione unico. Poi l’invito, per chi volesse, ad un breve incontro di preghiera presso l’attigua cappella, momentaneamente sgombra dei materassini degli ultimi arrivati, dove Suor Teresa con una riflessione a più lingue ci ha posto le mani sul capo come segno di benedizione e di accompagnamento per il proseguo del Camino. A questo punto la comunione ha raggiunto l’apice e le stelle sulla volta infinita, prima della buona notte, ci ricordavano la via, la famosa via lattea, verso l’occidente, verso il Santo.