“Dio ci conceda una buona giornata e una buona traversata” (preghiera mattutina
dei marinai sulle caravelle di Cristoforo Colombo).
Noi, mentre sostiamo sul famoso ponte della regina, modifichiamo quella preghiera e chiediamo che ci conceda una “buona camminata”.
Noi, mentre sostiamo sul famoso ponte della regina, modifichiamo quella preghiera e chiediamo che ci conceda una “buona camminata”.
Il fisico è a posto, al “Camino del Perdon” di Uterga si dorme bene, ma
soprattutto si mangia bene. Si sa, le tavolate, in amicizia, rendono le pietanze
più gustose di quel che sono. Eppure il “pollo fritto” che io e il Giampiero
abbiamo ordinato era favoloso. Abbiamo fatto i complimenti alla cuoca, che poi
era la nonna della proprietaria, ed entrando in sintonia e simpatia, la Mariella
è riuscita a farsi dare la ricetta. Con mia somma goduria per gli anni a venire.
E’ l’alba, il peso dello zaino è quello giusto, il sentiero che le frecce gialle
ci segnalano comincia ad animarsi di altri, giovani (chiacchieranti) e meno
giovani (più o meno come noi).
Prima d’intravedere, in lontananza, il paese di Maneru arranchiamo su uno stacco
argilloso e scivoloso che ci gonfia i polmoni.
Poi è la volta di un paese leggermente arroccato, Cirauqui, che si attraversa
fino alla piazza e sotto un arco troviamo il “sello” che va ad aggiungersi sulla
nostra “credencial”. E’ ancora mattino presto, c’è silenzio, il paese quasi
ancora dorme, un angolo di umanità ferma, urbanisticamente, a vestigia
medioevali.
Uscendo, la seconda sorpresa: poco prima di imboccare un ponte e subito dopo,
passo dopo passo camminiamo sul selciato di un’antica strada romana. E’ una
sensazione che ti trasporta nel tempo. Stranamente, però, non vago sui fasti
imperiali, vedo, invece, i sandali di un piccolo frate, perché da qui passò
anche San Francesco per recarsi pellegrino a Santiago, e la cosa mi commuove e
mi rasserena ulteriormente.
Dopo aver attraversato un altro torrente (rio Salato) su un altro bel ponte e
dopo alcuni saliscendi entriamo in un paesino che si chiama Lorca che, anziché
ricordarmi il famoso Federico Garcia Lorca, poeta e drammaturgo del xx secolo,
mi sollecita ad un furbesco sorrisetto per la silenziosa esclamazione simil
“porca loca”.!. che fatica.
Così ci riposiamo per il pranzo al sacco sulle rive di un canale a Villatuerte,
dove ci sovrastano, possenti, i muri della parrocchiale. Si comincia ad
apprezzare, quando si ha fame, anche le povere pietanze da viaggio, tipo i
classici rotondi formaggini avvolti dalla plastica rossa che sembra cera.
Gli ultimi chilometri prima di Estella ci rendono tranquilli i passi e ci
offrono l’incontro con un’anziana pellegrina, straniera (cioè non italiana)
piuttosto in carne e stanca, seduta per una sosta, rinfrescandosi con della
frutta. Questa non dovrebbe mai mancare nello zaino perché la necessità di
rimpinguare liquidi e zuccheri, sotto il solleone spagnolo, è sempre impellente.
Alcuni camminanti hanno a portata di bocca una cannuccia uscente direttamente
dallo zaino dove evidentemente hanno la cisterna sempre piena.
Ad Estella troviamo ospitalità al rifugio comunale, due o tre piani di stanzoni
con letti a castello e l’acqua della doccia subito fredda. In compenso c’è una
volontaria “ospitaliera” pronta ad offrire le sue capacità infermieristiche per
lenire vesciche, slogature, versamenti e quant’altro possa martoriare piedi e
gambe dei più sfortunati.
Dicevo, stanzoni, brande, gente che riposa, montagne di cellulari sotto carica
alle poche prese, code ai servizi, e quando già ci sentiamo sistemati arriva la
pellegrina appesantita e vuoi non darle il posto in basso?, d’altra parte
proprio non poteva salire l’unico posto libero al secondo piano del letto a
castello.
Estella, già il nome è splendente, cittadina medioevale, antica capitale dei re
di Navarra. L’abbiamo girata in lungo e in largo, altre 3 ore di “passeggio”.
Sembra strano, ma l’arrivare alla meta sfinisce il fisico, eppure dopo adeguati
passaggi di riambientazione, ci si ricarica che è un piacere.
Per tornare alla città ospitante, bisogna riconoscere che è uno dei più
artisticamente interessanti luoghi del cammino. Non voglio presentare il suo
portfoglio turistico, ma citare la chiesa di San Pedro de La Rua è doveroso, per
la sua scalinata, quasi perpendicolare, d’ingresso, le sue gotiche tre navate,
l’adiacente bel chiostro dove è obbligatorio andare a cercare la colonna che si
slancia al capitello nell’intreccio, impressionante, formato da tre serpenti.
Altro abbiamo visto e visitato e la giornata termina con la ricerca del consueto
“menù del pellegrino” che quasi tutti i locali, soprattutto quelli vicini al
rifugio, espongono a prezzi modici
(8-12 euro), pur mangiando quasi sempre bene e abbondante. Quella sera
l’ambiente era allietato dalla presenza di una “numerosa banda” di ragazzini
(che avevamo già incrociato durante il giorno), accompagnati da due adulti, come
guide, e a giudicare dai comportamenti, come fratelli maggiori.
La notte, non inoltrata, si deve rientrare in rifugio entro le 22,00, ha chiuso
il giorno: “buenas tarde”.
Gaetano Mercorillo
Gaetano Mercorillo