La Pasqua è la festa di tutte le feste, per certi versi è la più sentita, anche se la meno vissuta. Cioè, non si respira, per intenderci, l’atmosfera del Natale con tutto il corollario che la nascita del Bambino si trascina dietro.
La Resurrezione, invece,
lascia perplessi, è difficile da capire che un morto risorga e si volatizzi,
sostanzialmente, senza farsi più vedere se non da pochi intimi amici e
discepoli.
Hanno cercato di abbinarvi, come
d’altronde con il Natale, prodotti vari, tipo uova, colombe, agnelli, pulcini,
fiorellini, campane, ma sostanzialmente rimangono sempre accessori che
potrebbero andare bene per altre dieci ricorrenze varie. Insomma, per capire la Pasqua come evento reale
bisogna viverlo con fede e viverlo dentro la Chiesa. I riti, la liturgia, sono
esternazioni necessarie per cogliere il senso dell’avvenimento. La Settimana Santa è
propedeutica a tal fine.
Da bambino, ricordo,
m’impressionavano i panni viola che ricoprivano tutti i crocifissi della
chiesa, le processioni del Cristo morto con le varie confraternite di incappucciati,
le luci soffuse, il silenzio delle navate, il lutto, anche civico, del venerdì
santo. Alla Veglia di tutte le veglie
non partecipavo perché piccolo, eppure, già nel lettone, aspettavo con
trepidazione il suono liberato delle campane che allegravano l’annuncio della
Pasqua. Quale intima gioia accompagnava così il leggero sonno, preludio di un
giorno che era, perciò, comunque speciale.
Perché:…”questo è il giorno che
ha fatto il Signore: rallegriamoci in esso ed esultiamo” (Salmo). Veramente
l’ha voluto il Signore Dio fin dall’origine dei tempi e l’ha voluto per la
nostra salvezza. Basta solo una cosa:…”chiunque crede in Lui riceve il perdono
dei peccati per mezzo del suo nome” (Atti), cioè per mezzo della sua Grazia,
del suo Dono, il dono della vita.
Con San Paolo, allora, se
veramente crediamo in Lui, crediamo nella sua Resurrezione, siamo dunque
risorti in Cristo, ora che siamo in vita e domani che saremo in morte. Perché:
“Egli è il Giudice dei vivi e dei morti” (Atti), è il Dio dei viventi in Lui. Noi dobbiamo testimoniare tutto
ciò. Dagli Atti emerge chiaramente che Lui ci ordina, se crediamo in Lui, di
annunciarlo e testimoniare che Egli è l’unico Giudice. Non si può dimenticare
questo comando. Sono da ammonire coloro che sottintendono questa verità. Non c’è scampo.
Viceversa si parla di un’altra chiesa.
Celebriamo, dunque, la festa,
questo tempo di Pasqua che dura cinquanta giorni…” non con il lievito vecchio,
né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di
verità” (1Cor). Di perversità oggi è pieno il mondo, da qualunque parte ci si
volti. E’ certo che non si può solo maledire questo mondo, così come, allora,
dobbiamo almeno noi credenti essere coerenti con la Parola.
La sincerità di cuore esige la
conoscenza della verità e noi sappiamo che la Resurrezione non è
una cosa inventata… “allora entrò anche l’altro discepolo che era giunto per
primo al sepolcro, vide e credette” (Gv). Credette senza più alcuna ombra di
dubbio, i teli erano là attorno ad una persona che non c’era più, che coprivano
come se ancora la persona fosse presente, eppure Lui non era là, l’apostolo,
sconvolto, credette. E lasciamoci sconvolgere anche noi come Giovanni.
At 10,34°.37-43 / Sal 117(118) – 1Cor 5,6b-8 /
Gv 20,1-9
digiemme