Santissimo Corpo e
Sangue di Gesù
Anno B
Proviamo
ad andare con la mente agli albori della nostra infanzia, oppure guardiamo una
mamma o un papà, con in braccio il
figlio appena nato: ci immergiamo in una dimensione del tutto inusuale, dolce,
tenera, fatta di abbracci, di attenzioni che contornano gesti e movimenti
unici. Si sta bene, ci si sentiva protetti, si poteva desiderare tutto ciò che
un bambino desidera. C’erano, però, anche dei limiti che venivano imposti, cui
bisognava obbedire, con le buone e pure con le cattive, tipo il cambiamento del
tono della voce, le occhiatacce, le sculacciate, le sberle, i castighi.
Varianti, solo crescendo lo si sarebbe capito, che erano comunque intrise di
quell’amore materno e paterno che ci ha avvolto fin dal primo istante della
nostra vita. E’ come l’amore che Dio, nella sua creazione, fin dal principio ha
espresso donandoci i suoi precetti:“…tutti i comandamenti che il Signore ha
dato, noi li eseguiremo.” (dal Libro dell’Esodo)
Così
si ripromise il popolo di Dio: buone intenzioni, poi disattese, come la storia
della salvezza ha evidenziato. Tant’è vero che Dio Padre vi ha rimediato, per
la definitiva redenzione, mandando suo Figlio. Cambia tutto, in realtà per
l’uomo non cambia nulla. Anche Pietro e gli altri discepoli decidono di
obbedire al loro Maestro, ma sappiamo com’è andata. Era difficile capire,
tutt’ora lo è; il modo di parlare di Gesù è nuovo, è bello, invita a rimanere
nella sua parola per afferrare una volta per tutte che solo Lui è:“…il
mediatore di un’alleanza nuova perché…coloro che sono stati chiamati ricevano
l’eredità eterna che era stata promessa.” (dalla Lettera agli Ebrei)
La
domanda sorge spontanea: siamo tra i chiamati? Con il dono del Santo Battesimo
siamo sulla buona strada, il resto che ci compete è quello di ringraziare
perennemente per tutti gli altri doni che poco per volta scopriamo, al punto
che facciamo nostra anche la domanda del Salmo:“…che
cosa renderò al Signore per tutti i benefici che mi ha fatto? (dal Salmo 115)
L’unica
è servire il Creatore. Cosa c’è di più giusto che servire colui che ci ha dato
alla luce, senza la quale non possiamo neppure esistere? E cosa c’è di più
felice che servirlo, poiché è nel servirlo che ci si sente figli? E’ questa la
condizione alta per avere accesso alla condivisione che tocchiamo con mano ogni
volta che ci accostiamo all’Eucaristia. Ogni volta anche noi possiamo domandare
al Signore:“…dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la
Pasqua?” (dal Vangelo secondo Marco)
Può
essere che sia nella chiesa più vicina, oppure in quella della parrocchia, o
ancora in casa della famiglia amica o della famiglia religiosa, non importa,
l’essenziale è che ci sia quel “pane” e quel “vino” necessari a garantire la
sua Presenza, come aveva promesso nell’ultima sua cena. Occorre solo che “tutti
noi che vogliamo attirare a noi il Signore, ci si avvicini a Lui come discepoli
al maestro in tutta semplicità, senza ipocrisia, senza cattiveria, né
artificio, né complicazioni.” (San Giovanni Climaco). Sappiamo che il “calice”
nel linguaggio biblico, indica comunione, soprattutto nella condivisione della
sofferenza, ecco, se sapremo accettare anche questa logica di “ringraziamento”
che l’Eucaristia incentra, allora quell’alleanza nuova, eterna, sarà alla
nostra portata.
Es
24,3-8 / Sal 115(116) / Eb 9,12-15 / Mc 14,12-16.22-26
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