IL GREGGE DI CRISTO



XXXIV Domenica T.O.(Anno A)
Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo
La vulgata dice che stare nel gregge non è proprio il massimo perché si è come pecore che non si distinguono le une delle altre. In parole povere si è dei pecoroni che seguono solo quelli davanti.
Se, però, si sta nel gregge di Cristo le cose cambiano perché:
“come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore…e le radunò che erano state disperse.” (dal Profeta Ezechiele).
Cristo, infatti, è in mezzo a noi e ci riconosce uno per uno, anzi va a cercare anche i distratti e i dispersi e li raduna nella sua Chiesa. Li protegge, li foraggia, in modo del tutto speciale, sacrificandosi per loro in ogni Consacrazione Eucaristica.

Si capisce, così, perché suona opportuno il Salmo 22:
“il Signore è il mio pastore, non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce”.
In questa logica, veramente non manco di nulla. Il cuore affannato di coloro che erano stati dispersi può ritornare a riposarsi, può discendere il fiume della vita attraverso le acque tranquille di chi ha trovato la pace interiore sulla Parola del Signore. Non ci sarà più angoscia, anche la morte non farà più paura, consapevoli che la propria esistenza prosegue in quel nuovo posto di cui parla San Paolo:
“come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita. Ognuno, però, al suo posto, prima Cristo che è la primizia, poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo.”
Tutti, quindi, riceveremo la vita, ma solo quelli che sono in Cristo. Aggiungo, anche quelli che non l’hanno potuto conoscere. Penso a quelli che non hanno ancora ricevuto l’Annuncio, vivendo, comunque, in pace con loro stessi e con il mondo che li circonda. Penso ai piccoli esseri che, innocenti, hanno incontrato la morte nel grembo delle loro madri. A maggior ragione, per il sacrificio che incarnano e subiscono, quale cruento evento che rimanda al Sacrificio di Cristo, che dona la sua vita per la salvezza di tutti coloro che sono suoi.
La domanda, allora, scaturisce spontanea: chi sono i suoi? Ci risponde il Vangelo di Matteo che non lascia spazio ad interpretazioni fraudolente:
“quando il Figlio dell’uomo verrà nella gloria…Egli separerà gli uni dagli altri…Venite benedetti del Padre mio perché avevo fame, avevo sete, ero straniero, ero nudo, ero malato, ero in carcere e tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me…In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me.”
La chiave di volta da riconoscere in questo brano evangelico è quel “venite benedetti del Padre mio” che ci apre alla visione dell’eredità preparata per noi fin dalla nostra comparsa alla vita. Un’eredità carica di gratuità e di dono che può essere riscossa solo se bussiamo alla porta del Giudice con il carico di chi ha liberamente creduto nel fondamento del suo Amore. Il contro altare, però, esiste e lo si può identificare in quel “via, lontano da me, maledetti nel fuoco eterno (Mt 25,41b). Qui c’è tutta la rettitudine del giudizio che riconosce il diritto alla scelta del rifiuto al fondamento dell’Amore. Il metro per effettuare la divisione, come abbiamo ascoltato, è misurato sui comportamenti rispetto a delle situazioni di marginalità: “ero affamato, assettato, nudo, malato, straniero, prigioniero”, ma ciò che ancor più emerge riguarda il soggetto di quelle marginalità, “il più piccolo dei miei fratelli”. E chi sarebbe questo più “piccolo dei miei fratelli”, se non il bambino che deve nascere: è affamato di vita, assetato di amore, nudo di tutto, malato da accogliere, prigioniero di una condizione, straniero agli occhi di chi non lo riconosce nella sua dignità di figlio di Dio. Si capisce, allora, perché continua a crescere la moltitudine di quelli che “se ne andranno, questi al supplizio eterno”, mentre è esiguo il numero di quelli “i giusti, invece, alla vita eterna”.
Ez 34,11-12.15-17 / Sal 22(23) / 1Cor 15,20-26.28 / Mt 25,31-46

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