XXXII Domenica T.O.(Anno A)
Sappiamo bene che il mese di novembre è
dedicato al ricordo dei defunti, e quando pensiamo a loro, in forza della fede
che ci unisce come fratelli, li sentiamo presenti, anche se non riusciamo a
capire in che dimensione. Quando chiediamo che una Santa Messa sia celebrata
nel loro nome non lo facciamo, però, per dovere o per consuetudine, bensì per
restare in comunione. Il Sacrificio che si compie sull’altare è gesto di
rispetto per loro, se si trovano in Purgatorio, è anticipo per noi se si
trovano all’inferno. In ogni caso mettiamo tali intenzioni con lo stesso
spirito che leggiamo nella Prima Lettera ai Tessalonicesi di San Paolo
Apostolo: “…Non vogliamo fratelli lasciarvi
nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi
come gli altri che non hanno speranza.”
Secondo un pensiero di Charles Peguy, la
speranza è la virtù che Dio ama di più: “La virtù che amo di più, dice Dio, è la
speranza. La fede non mi stupisce. Non è stupefacente. L’amore, dice Dio, non
mi stupisce. Queste povere creature sono così infelici: che questi poveri figli
vedano come vanno le cose e credano che domani andrà meglio. Questo è
stupefacente.”
Sì, questo è stupefacente come la sapienza,
anzi come l’abbiamo ascoltata dal Libro, appunto, della Sapienza:
“…La sapienza è splendida e non sfiorisce…si
lascia trovare da coloro che la cercano.”
E’ evidente come i doni che sono connaturali
con la nostra creazione, ciascuno per un suo preciso insondabile fine, non
possono avviarsi a maturazione se non c’è la volontà propria di mettersi in
gioco e partire alla ricerca. E’ ovvio che se si improvvisa, prima o poi si va
a sbattere; se ci si lascia intruppare non si è neppure degni di essere
gregari, si è alla mercé di chi comanda; se ci si immette a gamba tesa, con la
foga e l’entusiasmo dei neofiti, in qualsiasi progetto, si finirà per
spaccarsela. Tutte queste analisi, neanche troppo difficili da averne fatto
esperienza, per comprendere al meglio la parabola del Vangelo di Matteo:
“…Allora il Regno dei Cieli sarà simile a
dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo.
Cinque di esse erano stolte e cinque sagge…”
Le stolte e le sagge sono sullo stesso piano,
desiderano tutte essere spose per tutta la vita con il loro sposo. Alcune,
però, non sanno aspettare, non si muniscono del minimo necessario, in quel caso
l’olio per le lampade. Pensiamo per un attimo a queste spose nei giorni nostri,
perché nonostante il desiderio di andare incontro allo sposo non riescono ad
incrociarlo, non riescono ad aspettarlo. Le lampade del vangelo si spengono, le
spose di oggi, quelle stolte, ad un certo punto smettono di essere luce e tutto
intorno a loro sbiadisce, e sempre più diventa buio. Si allontano dal luogo
dove potrebbero più facilmente incontrare lo sposo e come in un vorticoso
labirinto finiscono per restare sole. Credono, comunque, di essere padrone del
loro andare finché non sbattono contro un muro e stanche non riescono più a
trovare le risorse per uscirne. A meno che non s’imbattano nel salmista che le
invita a pregare così:
“…ha sete di te l’anima mia, desidera te la
mia carne…Così ti benedirò per tutta la vita, nel tuo nome alzerò le mie mani.”
Non alzeremo più, perciò le nostre lampade
ormai inutili, ma le nostre mani per recitare il Padre Nostro. Allora sì saremo
come le vergini sagge, è la nostra scorta d’olio, e non temeremo l’ammonimento
di Gesù Cristo:
“…In verità io vi dico: non vi conosco.
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno, né l’ora.”
Non perdiamo, però, mai di vista questa
possibilità, e siamo sempre pronti essendo noi stessi lampada vivente che
illumina noi e quelli che ci sono prossimi, per essere pronti all’incontro,
anche e soprattutto a quello più importante.
Sap
6,12-16 / Sal 62(63) / 1Ts 4,13-18 / Mt 25,1-13
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