SCAVALCARE LE MURA



XXX Domenica T.O.(Anno A)
Da bambino i muri dell’oratorio erano da scavalcare per andare a recuperare il pallone, erano da scalare per sedervisi a cavalcioni, un sacchetto di patatine in mano, e gustarsi la partita dei “grandi”. Il muro era la nostra protezione e nello stesso tempo  l’ansia dell’oltre, di un orizzonte che si apriva alle nostre fantasie. Anche adesso il muro ci offre quel senso di protezione, eppure sappiamo che dietro a quelle mura ci sta il mondo cui si deve portare la Parola di Dio: “…Signore, tu dai luce alla mia lampada, il mio Dio rischiara le mie tenebre. Con te mi getterò nella mischia, con il mio Dio scavalcherò le mura.” (Salmo)

Ogni verso di questa preghiera meriterebbe una sua disanima tanto sono profondi ed efficaci nell’evidenziare le condizioni di vita delle nostre esistenze. Mai come oggi l’umanità è immersa nella luce di lampadine, neon, fari, lampioni; i paesi e le città non conoscono angoli bui; le case sono illuminate dal pavimento al soffitto, eppure ci manca la lucina della lampada, di quella luce che illumini i nostri passi. Solo che lo capiamo tutto ci sarà ancora più chiaro. Tutto si vedrà sotto una luce diversa e a tutto non potremo più restare indifferenti. Ecco, allora, cosa vuol dire il “gettarsi nella mischia”, cosa lascia intravedere quello “scavalcare le mura”. Non potremo più ignorare l’ingiustizia, non potremo più essere sordi al grido di aiuto. Addirittura noi stessi dovremo gridare:
“…non maltratterai la vedova o l’orfano. Se tu lo maltratti, quando invocherà da me l’aiuto, io darò ascolto al suo grido.” (dal Libro dell’Esodo)
In quei tempi, per le condizioni sociali, la vedova e l’orfano erano l’emblema della
più assoluta povertà e fragilità, motivo per cui si doveva provvedere alla massima protezione.
In questi tempi, la fragilità della donna e del bambino viene, invece, ignorata. Basta vedere come si risolve il problema di una gravidanza difficile o inaspettata. Il bambino diviene prima orfano di padre, questi non ha diritto di parola sulla sua vita, e poi succube dell’autodeterminazione della madre che può decidere o meno della sua vita.
La donna assume così la condizione di vedova perché non vede più a fianco e attorno a sé la condivisione esistenziale del suo essere madre. La solitudine interiore è foriera di quella vedovanza. E’ come se si fossero spente tutte le luci. Solo un piccolo lumicino, in lontananza, tremulo al vento, ma protetto da una mano tesa, si profila spinto da…:
“…Maestro, nella legge, qual è il grande comandamento? Gli rispose: “amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”
Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso.” (Vangelo di Matteo)
E’ questa la luce della lampada che ci deve guidare nei meandri della vita. Sono questi i due solchi entro cui tracciare il nostro percorso. Attenzione, però, non sovrapponiamo quei due comandamenti, ma teniamoli ben distinti nella loro importanza. Amare Dio per primo e il nostro prossimo come conseguenza. Amare Dio significa cercarlo, conoscerlo sempre più, rispettarlo, averne timore, metterlo al centro della propria vita. Solo così considereremo alla stessa stregua coloro che ci sono prossimi. Se vivremo in questo modo, saremo come i cristiani cui Paolo invia la sua prima lettera:
“…infatti, per mezzo vostro la parola del Signore risuona non soltanto in Macedonia e in Acaia, ma la vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto.” (Lettera ai Tessalonicesi)
Voglia Dio che sia così anche per noi. Che la nostra fede in Dio si diffonda sempre più, soprattutto nei cuori e nelle menti di coloro che dovrebbero avere cura di vedove e orfani. E’ questo il modo di scavalcare le mura. Sempre e solo con l’aiuto di Dio.
Es. 22, 20-26/Sal17 (18)/1Ts. 1,5-10/Mt. 22, 34-40

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