Domenica XXIX T.O. (Anno A)
Quentin Massys, Il bancario e sua moglie (part.) 1514,Louvre, Parigi |
La prima cosa che chiediamo quando veniamo a
conoscenza di una nascita: il nome!
Senza quello non riusciamo a capire quale
sarà il ruolo che questo nuovo individuo avrà nell’esistenza che ci circonda.
Senza neanche volerlo gli diamo subito un suo carattere, una sua visibilità,
una sua importanza.
E’ quello che ha fatto il Signore con noi
secondo il profeta Isaia:
“…io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un
titolo, sebbene tu non mi conosca, Io sono il Signore…ti renderò pronto
all’azione perché sappiano che non c’è nulla fuori di me.”
Sebbene ancora non lo conoscevamo, eppure da
lui chiamati alla vita, già sfoggiavamo il sigillo del suo riconoscimento che
veniva confermato dal nome che i genitori o chi per loro, volenti o nolenti,
subito ci avevano assegnato.
Il Signore ci assicurava, soprattutto con il
Sacramento del Battesimo, che eravamo pronti all’azione per fare sapere al
mondo che solo in lui c’è la pienezza della vita.
Io sono il Signore, ti riconosco, ti chiamo
con il tuo nome, ti chiamo perché credo in te e conto su di te per fare sapere
a quanti ancora non mi vogliono riconoscere che non c’è nulla fuori di me.
Possono essere potenti re, facoltosi padroni,
astuti governatori, grandi magnati, forti combattenti, ma, lo sappiamo bene,
per loro non c’è storia se non si impegnano come suggerisce il Salmo:
“…annunciate di giorno in giorno la sua
salvezza. In mezzo alla gente narrate la sua gloria, a tutti i popoli dite le
sue meraviglie.”
E’ bello ciò che medita il Salmo. Annunciare,
narrare e, contemporaneamente, gioire. Perché senza gioia non si va da nessuna
parte. Tutto il nostro agire, giorno per giorno, deve essere intriso da queste
condizioni. Viene consigliato anche da San Paolo nella sua lettera ai
Tessalonicesi:
“…sapete bene che il giorno del Signore verrà
come un ladro di notte…Non dormiamo dunque, ma vigiliamo e siamo sobri.”
Il vigilante
è colui che non abbassa la guardia dalle tentazioni che continuamente si
profilano all’orizzonte di ogni giornata, sul lavoro, nel tempo libero, in
famiglia, nei rapporti con gli altri. Oggi ancor più di ieri a causa
dell’ampliamento dello spettro informativo e partecipativo attraverso gli
strumenti sociali della comunicazione. L’essere sobri significa, quindi,
riuscire a mantenersi coscienti del rischio di presunti bisogni che da mattina
a notte ci carpisce nel tentativo di estirparci dalle radici e offrirci
presunti paradisi a piacimento.
Vigilanti e sobri, solo così potremo
inseguire la via di Dio secondo verità. Ascoltiamo il Vangelo:
“…Maestro, sappiamo che sei veritiero e
insegui la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno…”.
Siamo o non siamo suoi discepoli? e allora
anche noi siamo invitati a seguire le sue orme. In qualche modo, pure noi,
tante volte siamo costretti con le spalle al muro circa il modo con cui
cerchiamo di essere coerenti nello stile di vita che tentiamo di tenere, per
darci scacco e per minimizzare quanto professiamo. Ascoltiamo ancora il
Vangelo:
“…ipocriti perché volete mettermi alla
prova?...Date a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quello che è di Dio.”
Anche noi, allora, possiamo, con decisione,
irridere all’ipocrisia; possiamo difendere o abiurare tutto ciò che è dato da
“Cesare”. Al potere dell’uomo dobbiamo rispetto quando è al servizio del bene
comune, dobbiamo rifiuto quando porta solo al prestigio di pochi, quando per
questo prestigio non si cura di dare a Dio quello che è di Dio. Cioè, il bene
di ognuno, sia esso bello o brutto, sano o malato, embrione o vecchio,
intelligente o ignorante, istruito o analfabeta, bianco o nero. Cioè, la
salvezza per tutti, non solo per i propri amici, i pochi eletti, ma per quanti
vorranno afferrarla. Infatti, a tutti deve essere offerta, anche se non sarà
per tutti, ma questo non è da capire perché ancora una volta diamo a Dio ciò
che è da Dio e agli uomini ciò che vorranno tenersi: la moneta di Cesare.
Is 45,1.4-6 / Sal 95(96) / 1Ts 1,1-5 a / Mt 22,15-21
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