MORGADE – LIGONDE 11 Agosto 2010 XXVII tappa

“Abbiamo tutti bisogno di un viaggio, non per “vacanza” (cioè per fare vuoto attorno a noi), ma per trovare noi stessi. Tutti bisognosi di un cielo sulla testa e di una strada sotto i piedi” (Luigi Maria Epicoco)
 
Ci stacchiamo presto dalla porta di Morgade, alle 6,00, rinunciamo alla colazione che sarebbe stata servita troppo tardi,  e procediamo spediti fino al primo bar aperto che incontriamo. Consueta sosta con tanto di preghiera presso il primo “cruceiro” che si profila all’orizzonte, e se ne incontrano parecchi, il più interessante e caratteristico (del 1670)  lo ammiriamo a Lamerinos.
Al fresco della mattina le gambe mulinano bene ed i cippi (majon) ogni 500mt. ci sono da sprono a verifica dei tempi che riusciamo a mantenere. Così concentrati come siamo non ci accorgiamo dei villaggi che attraversiamo ed in un attimo siamo a Portomarin, la città più importante di questo tratto di cammino. La intravediamo, fra i rami dei boschetti, di fronte a noi, collocata su un colle dall’altra parte del lago che è sotto di noi. La discesa è ripida e veloce e già siamo sul lunghissimo ponte che attraversa il bacino artificiale di Belezar, realizzato verso la fine degli anni ’50, costringendo così al trasloco gli abitanti dell’antica Villa Portumarini. Tutto hanno ricostruito duecento metri più in su, pietra su pietra, tutto il loro patrimonio a cominciare della romanica chiesa fortezza di San Nicolas, alla “cappella de la Virgen de les Nieves che ci accoglie oltre il ponte in cima alla scalinata recuperata dal ponte originale.
L’impatto visivo è notevole e le foto doverose, la città ricostruita (nel 1960) ha mantenuto un suo fascino. L’abbiamo adeguatamente apprezzato quando nel 2007 ci siamo fermati qui con gli amici del primo pellegrinaggio, alloggiando presso l’hostal “El Caminante”. Allora, dopo i necessari riti di sistemazione, l’avevamo girata in largo e in lungo, in uno dei negozietti sotto i portici ho comprato la prima croce di Santiago in legno da mettere al collo (e non l’ho più tolta). Abbiamo pure avuto la fortuna di poter partecipare alla Santa Messa celebrata da un prete italiano presso la Cattedrale di San Nicolas. In piazza c’era montato un palco per una festa che si sarebbe tenuta alla sera, ma per noi la festa era già in corso quando prima di cena (servitaci, ottima, sempre al El Caminante), ci siamo messi insieme a suonare (Rebecca alla chitarra) e cantare i nostri canti di gioventù. Bei ricordi.
Questa mattina (invero quasi mezzogiorno), invece, io e Mariella, ci siamo lasciati, dopo un veloce rifornimento al sacco, Portomarin alle spalle,  superando il torrente immissario del lago su una stretta passerella, da dove s’intravedono sul fondo delle vicine sponde alcune rovine dell’originario paese.
Da questo punto si ricomincia a risalire, su fino ai 770mt. dell’Alto di Ligonde. Si attraversano diversi borghi, Tobixio, Gonzar, Castromaior. Da qui cominciano a vedersi i boschi di eucalipto e sentiamo il dolce loro profumo. Il tragitto è sempre ben segnalato, impossibile prendere direzioni sbagliate, anche i pellegrini sono sempre di più, a volte c’è un vero e proprio affollamento, soprattutto nei pressi di bar e posti ristoro. Riconosciamo luoghi già percorsi e sembra quasi di vedere gli amici del 2007, chi come il Giampiero che si premurò di fare un bastone con un ramo di eucalipto per sua moglie Anna, che aveva un problema al ginocchio e successivamente ne fece uno anche per Mariella che abbiamo ancora a casa, chi come il Francesco e la Maria Carmela che erano sempre in avanscoperta, chi come la Rebecca, la Eva e la Marisa che chiudevano sempre la fila come tre “piccole lumachine”. Insomma, ci si perdeva e ci si ritrovava, nell’andare in quell’unica direzione cui le frecce gialle ti obbligavano.
Anche quest’oggi il numero dei pellegrini è significativo, giustificato dal fatto di essere nell’anno composteliano, al punto che decidemmo di verificare dove effettivamente potevamo fermarci con la speranza di trovare posti liberi per la sera.
Si può dire che in ogni gruppo di case, in ogni villaggio ci sono chance per un ricovero dignitoso, sulla cartina abbiamo identificato Ligonde, conosciuto perché c’è una fonte, la “Fuente del Pellegrino” con un rifugio.
Eravamo abbastanza stanchi, ormai era l’una passata, Mariella voleva fermarsi, ma ci siamo detti che non potevamo rischiare di ritardare oltre, perciò raccogliendo le ultime energie della giornata, abbiamo accelerato il ritmo e, quasi senza accorgercene, andavamo come il vento, superavamo pellegrini su pellegrini e alle 13,30 eravamo davanti al tavolo degli hospitaleri di Ligonde per chiedere se c’era posto. Una di loro capiva e masticava l’italiano e, dopo un breve conciliabolo con il suo “collega” ci dice che gli ultimi due posti sono per noi. Alleluja.
Il rifugio è ricavato in un vecchio casolare ristrutturato mantenendo l’ambiente originario: è pulito, lindo, servizi ottimi, stanze per dormire al primo piano raggiungibile con vecchia scala interna, soffitti in legno e tanta gentilezza anche dal resto del gruppo hspitaliero. Sono due coppie con bambini piccoli e i due che stavano fuori per l’accoglienza e per il ristoro ai pellegrini di passaggio. In giro, anche nel cortile esterno, parecchi segni di gente credente, comprendiamo, quindi, che ciò che offrono non è solo ospitalità, ma pure testimonianza di una vita di fede in un’esperienza di vita in comune (almeno per un certo periodo) che vale anche per loro. La sistemazione è ottima, non vogliono niente, solo un’offerta per chi può e la condivisione ai loro ritmi di vita. Perciò per chi vuole ci sono momenti di preghiera e di riflessione prima e dopo cena. Comprendiamo che non sono cattolici, forse evangelici, ma la loro presentazione non ci spinge alla chiusura mentale, anzi ci fa sentire a nostro agio. Il resto del pomeriggio passa in relax, anche perché mi accorgo che il mio piede destro è ritornato ad essere gonfio come un pallone. Subito mi offrono del ghiaccio ed un altro pellegrino spagnolo, anche lui ospite, per consolarmi ci racconta (soprattutto a Mariella) della sua esperienza dell’anno precedente quando ha voluto lo stesso fare il pellegrinaggio, in bicicletta, pedalando con una gamba sola dopo essersi fatto male alcuni giorni prima di partire. Evidentemente il “desiderio” di andare Ad Limina Jacopi è sempre più forte degli inconvenienti.
Ci proverò, ci sto provando anch’io, nel mio piccolo.
L’attività rurale dei vicini di casa, contadini, ha assorbito la mia attenzione per il resto della giornata, fino a quando non è giunto il suono della campana per la cena, sobria e partecipata attorno ad un tavolone che riuniva pellegrini di varie nazionalità. Nonostante ciò, com’è facile immaginare, la serata ha visto anche la condivisione di pensieri e riflessioni circa i motivi che hanno spinto ciascuno ad intraprendere il pellegrinaggio. Anche noi abbiamo detto la nostra, con la giovane amica che ci faceva da interprete e pensiamo, alla fine, prima di andare a dormire,  che il Buon Dio ha dato a tutti i presenti l’opportunità di intuire e comprendere il bene che attraverso San Giacomo viene seminato nei cuori e nella vita di coloro che si prestano come buona terra, per dare a suo tempo i frutti che Lui vuole da tutti noi.