“Abbiamo tutti bisogno di un viaggio, non per “vacanza” (cioè per fare vuoto
attorno a noi), ma per trovare noi stessi. Tutti bisognosi di un cielo sulla
testa e di una strada sotto i piedi” (Luigi Maria Epicoco)
Ci stacchiamo presto dalla porta di Morgade, alle 6,00, rinunciamo alla
colazione che sarebbe stata servita troppo tardi,
e procediamo spediti fino al primo bar aperto che incontriamo. Consueta
sosta con tanto di preghiera presso il primo “cruceiro” che si profila
all’orizzonte, e se ne incontrano parecchi, il più interessante e caratteristico
(del 1670) lo ammiriamo a
Lamerinos.
Al fresco della mattina le gambe mulinano bene ed i cippi (majon) ogni 500mt. ci
sono da sprono a verifica dei tempi che riusciamo a mantenere. Così concentrati
come siamo non ci accorgiamo dei villaggi che attraversiamo ed in un attimo
siamo a Portomarin, la città più importante di questo tratto di cammino. La
intravediamo, fra i rami dei boschetti, di fronte a noi, collocata su un colle
dall’altra parte del lago che è sotto di noi. La discesa è ripida e veloce e già
siamo sul lunghissimo ponte che attraversa il bacino artificiale di Belezar,
realizzato verso la fine degli anni ’50, costringendo così al trasloco gli
abitanti dell’antica Villa Portumarini. Tutto hanno ricostruito duecento metri
più in su, pietra su pietra, tutto il loro patrimonio a cominciare della
romanica chiesa fortezza di San Nicolas, alla “cappella de la Virgen de les
Nieves che ci accoglie oltre il ponte in cima alla scalinata recuperata dal
ponte originale.
L’impatto visivo è notevole e le foto doverose, la città ricostruita (nel 1960)
ha mantenuto un suo fascino. L’abbiamo adeguatamente apprezzato quando nel 2007
ci siamo fermati qui con gli amici del primo pellegrinaggio, alloggiando presso
l’hostal “El Caminante”. Allora, dopo i necessari riti di sistemazione,
l’avevamo girata in largo e in lungo, in uno dei negozietti sotto i portici ho
comprato la prima croce di Santiago in legno da mettere al collo (e non l’ho più
tolta). Abbiamo pure avuto la fortuna di poter partecipare alla Santa Messa
celebrata da un prete italiano presso la Cattedrale di San Nicolas. In piazza
c’era montato un palco per una festa che si sarebbe tenuta alla sera, ma per noi
la festa era già in corso quando prima di cena (servitaci, ottima, sempre al El
Caminante), ci siamo messi insieme a suonare (Rebecca alla chitarra) e cantare i
nostri canti di gioventù. Bei ricordi.
Questa mattina (invero quasi mezzogiorno), invece, io e Mariella, ci siamo
lasciati, dopo un veloce rifornimento al sacco, Portomarin alle spalle,
superando il torrente immissario del lago su una stretta passerella, da
dove s’intravedono sul fondo delle vicine sponde alcune rovine dell’originario
paese.
Da questo punto si ricomincia a risalire, su fino ai 770mt. dell’Alto di
Ligonde. Si attraversano diversi borghi, Tobixio, Gonzar, Castromaior. Da qui
cominciano a vedersi i boschi di eucalipto e sentiamo il dolce loro profumo. Il
tragitto è sempre ben segnalato, impossibile prendere direzioni sbagliate, anche
i pellegrini sono sempre di più, a volte c’è un vero e proprio affollamento,
soprattutto nei pressi di bar e posti ristoro. Riconosciamo luoghi già percorsi
e sembra quasi di vedere gli amici del 2007, chi come il Giampiero che si
premurò di fare un bastone con un ramo di eucalipto per sua moglie Anna, che
aveva un problema al ginocchio e successivamente ne fece uno anche per Mariella
che abbiamo ancora a casa, chi come il Francesco e la Maria Carmela che erano
sempre in avanscoperta, chi come la Rebecca, la Eva e la Marisa che chiudevano
sempre la fila come tre “piccole lumachine”. Insomma, ci si perdeva e ci si
ritrovava, nell’andare in quell’unica direzione cui le frecce gialle ti
obbligavano.
Anche quest’oggi il numero dei pellegrini è significativo, giustificato dal
fatto di essere nell’anno composteliano, al punto che decidemmo di verificare
dove effettivamente potevamo fermarci con la speranza di trovare posti liberi
per la sera.
Si può dire che in ogni gruppo di case, in ogni villaggio ci sono chance per un
ricovero dignitoso, sulla cartina abbiamo identificato Ligonde, conosciuto
perché c’è una fonte, la “Fuente del Pellegrino” con un rifugio.
Eravamo abbastanza stanchi, ormai era l’una passata, Mariella voleva fermarsi,
ma ci siamo detti che non potevamo rischiare di ritardare oltre, perciò
raccogliendo le ultime energie della giornata, abbiamo accelerato il ritmo e,
quasi senza accorgercene, andavamo come il vento, superavamo pellegrini su
pellegrini e alle 13,30 eravamo davanti al tavolo degli hospitaleri di Ligonde
per chiedere se c’era posto. Una di loro capiva e masticava l’italiano e, dopo
un breve conciliabolo con il suo “collega” ci dice che gli ultimi due posti sono
per noi. Alleluja.
Il rifugio è ricavato in un vecchio casolare ristrutturato mantenendo l’ambiente
originario: è pulito, lindo, servizi ottimi, stanze per dormire al primo piano
raggiungibile con vecchia scala interna, soffitti in legno e tanta gentilezza
anche dal resto del gruppo hspitaliero. Sono due coppie con bambini piccoli e i
due che stavano fuori per l’accoglienza e per il ristoro ai pellegrini di
passaggio. In giro, anche nel cortile esterno, parecchi segni di gente credente,
comprendiamo, quindi, che ciò che offrono non è solo ospitalità, ma pure
testimonianza di una vita di fede in un’esperienza di vita in comune (almeno per
un certo periodo) che vale anche per loro. La sistemazione è ottima, non
vogliono niente, solo un’offerta per chi può e la condivisione ai loro ritmi di
vita. Perciò per chi vuole ci sono momenti di preghiera e di riflessione prima e
dopo cena. Comprendiamo che non sono cattolici, forse evangelici, ma la loro
presentazione non ci spinge alla chiusura mentale, anzi ci fa sentire a nostro
agio. Il resto del pomeriggio passa in relax, anche perché mi accorgo che il mio
piede destro è ritornato ad essere gonfio come un pallone. Subito mi offrono del
ghiaccio ed un altro pellegrino spagnolo, anche lui ospite, per consolarmi ci
racconta (soprattutto a Mariella) della sua esperienza dell’anno precedente
quando ha voluto lo stesso fare il pellegrinaggio, in bicicletta, pedalando con
una gamba sola dopo essersi fatto male alcuni giorni prima di partire.
Evidentemente il “desiderio” di andare Ad Limina Jacopi è sempre più forte degli
inconvenienti.
Ci proverò, ci sto provando anch’io, nel mio piccolo.
L’attività rurale dei vicini di casa, contadini, ha assorbito la mia attenzione
per il resto della giornata, fino a quando non è giunto il suono della campana
per la cena, sobria e partecipata attorno ad un tavolone che riuniva pellegrini
di varie nazionalità. Nonostante ciò, com’è facile immaginare, la serata ha
visto anche la condivisione di pensieri e riflessioni circa i motivi che hanno
spinto ciascuno ad intraprendere il pellegrinaggio. Anche noi abbiamo detto la
nostra, con la giovane amica che ci faceva da interprete e pensiamo, alla fine,
prima di andare a dormire, che il Buon
Dio ha dato a tutti i presenti l’opportunità di intuire e comprendere il bene
che attraverso San Giacomo viene seminato nei cuori e nella vita di coloro che
si prestano come buona terra, per dare a suo tempo i frutti che Lui vuole da
tutti noi.