Domenica XXVIII T.O. (Anno A)
Quando si dice “l’abito della domenica” è
evidente il riferimento al fatto che alla Casa di Dio si accede in modo degno e
decoroso. E’ vero che si può vestire di stracci ed essere nella grazia di Dio
perché lui, e solo lui, vede lo splendore della fede che anima l’interiorità e
la spiritualità di ciascuno, ma è anche vero che la bellezza, nel limite delle
possibilità, va esaltata. E’ un modo per ricambiare il dono della bellezza
della vita da parte del Creatore.
Pare di sentire l’Apostolo Paolo ai
Filippesi:
“…il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni
vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù.”
Ecco che la bellezza si commisura come
ricchezza che ci può appartenere pur essendo poveri. Ecco che questa
magnificenza passa, nel concreto della nostra vita, attraverso la persona di
Gesù Cristo. E come suoi discepoli possiamo allora immedesimarci nelle parole del Profeta Isaia:
“…e si dirà in quel giorno: “Ecco il nostro
Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse.”
E’ come se ogni volta che percorriamo la
strada per recarci a Messa, rivolgessimo al nostro compagno di strada
l’indicazione per capire il motivo della nostra speranza nonostante, magari, i
rovesci della vita con cui siamo costretti a convivere.
Quando poi nella liturgia, che liberamente
accettiamo come linguaggio di sacralità per avvicinarci alla presenza del Buon
Dio, c’inoltriamo nell’ascolto della sua Parola, ci conforta, in questo senso,
il Salmo:
“…davanti a me tu prepari una mensa sotto gli
occhi dei miei nemici; ungi di olio il mio capo; il mio calice trabocca.”
La bellezza e la ricchezza che ci vengono
donate nell’Eucaristia sono incommensurabili in rapporto al Sacrificio che si
consuma su quell’Altare. Certo che il tutto avviene sotto gli occhi dei nemici
che si annidano negli anfratti delle nostre debolezze, dei nostri timori, delle
nostre malefatte. Ma, nonostante queste brecce che lasciano traboccare il male
che deriva dalla nostra condotta, ecco che anche noi, pur cattivi, siamo
invitati alle Nozze:
“…la festa di nozze è pronta, ma gli invitati
non erano degni; andate ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete,
chiamateli alle nozze…quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi
e buoni,…il Padrone scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale…allora il Padrone
ordinò ai servi … gettatelo fuori nelle tenebre.”
Badate bene, quando il Padre dello Sposo si
rivolge ai servi, in verità si rivolge a noi. Si accorge che troppi, oggi,
trovano scuse per non impegnarsi, per non compromettersi, anziché occuparsi
delle cose sue in modo degno tirano a campare e pensano al loro tornaconto,
alla bella vita, in barba di chi si trova nella miseria e nell’abbandono. Si
accorge di essere tradito da coloro che pensava amici. Restano solo pochi
servi, sufficienti, comunque, per riempire la sala delle nozze, sufficienti per
far risuonare la chiamata.
Il pranzo è pronto, il Figlio è nello
splendore come ogni sposo e come ogni sposa che promettano amore per sempre.
Come si può presenziare, ogni domenica, ad ogni Eucaristia, a questo patto che
sancisce il dono di sé stessi, nell’unicità, nella fedeltà, nel “per sempre”
oltre la morte, senza presentarsi con l’abito di nozze? L’abito della pienezza,
dell’umiltà, della modestia, abito impreziosito dal rispetto e dell’amore
dovuti al Creatore della Vita.
Non illudiamoci, però, non ci sarà posto in
cielo per l’orgoglioso e per l’indolente e neanche per chi non indossa un abito
appropriato degno di un banchetto nuziale che è per sempre. Potrà anche
indebitamente intrufolarsi, utilizzando anche abiti sfarzosi, ma non saranno
quelli che abbaglieranno perché è la luce che viene dal cuore, dall’intera
persona, risplendente dell’amore donato, che partecipa e condivide la gioia del
vero pranzo di nozze. E’ questa la luce che riveste ogni nostro abito, che
trasforma ogni nostro abito in quello nuziale.
digiemme
Is 25,6-10a / Sal 22(23) / Fil 4,12-14.19-20 / Mt 22,1-14