Quarta Domenica di Avvento
Anno B
Con l’espressione “di generazione in
generazione” s’intende sottolineare che la Parola di Dio, fissata dallo Spirito
nell’annuncio dei Profeti, dei Vangeli e delle Lettere vale soprattutto per
noi:“…canterò in eterno l’amore del Signore, di generazione in generazione farò
conoscere con la mia bocca la tua fedeltà.” (dal Salmo n.88)
Siamo noi che siamo chiamati in causa, siamo
noi, i credenti di oggi, che dobbiamo rendere grazie ed onore al nostro Dio e
cantarne la fedeltà nei nostri confronti. Proprio per questo motivo, la
fedeltà, anche noi siamo obbligati a ricambiarla, viceversa si corre il rischio
di un allontanamento che, inevitabilmente, ci farà cadere nel peccato e
nell’apostasia. Come sta succedendo in questi ultimi anni, così come, nei
secoli, di volta in volta è sempre accaduto a causa delle debolezze degli
uomini di chiesa. Già un papa e dottore della Chiesa diceva che “succede spesso
che la Chiesa non ha solo da soffrire infedeli ed avversari che si trovano
fuori di lei, ma ha pure la pena di sopportare insidie e ostilità da coloro che
porta in seno.” (San Gregorio Magno)
Una sofferenza così manifesta che rischia di
precipitare in una spirale di confusione tale da non sapere neppure gustare la
promessa dell’annuncio di Cristo che viene ad assumere la nostra natura umana
come ci ricorda l’apostolo Paolo: “…che annuncia Gesù Cristo, secondo la
rivelazione del mistero, avvolto nel silenzio per secoli eterni, ma ora
manifestato mediante le scritture dei Profeti.” (dalla Lettera ai Romani)
Come vorremmo continuare ad essere ancora
avvolti nel mistero di questa incarnazione e lasciarci travolgere dalla realtà,
inaccessibile alla nostra determinazione, che Dio possa amare a tal punto le
sue creature da assumerne la loro carnalità. “Stupenda bontà di Dio, che ci
cerca, e stupenda dignità dell’uomo che viene così cercato.” (San Bernardo,
monaco cistercense e dottore della Chiesa)
Già il fatto di essere sue creature implica un
esplicito riconoscimento di una speciale ed unica dignità che viene conferita
nel preciso momento del concepimento, il primo miracolo che si può realmente
constatare, di fatto anche attraverso la scienza, ma addirittura, alla bontà
aggiunge la misericordia, decide di sacrificare il Figlio per arrivare al cuore
di ogni uomo.
Perciò:“…renderò stabile il suo regno. Io sarò
per lui padre ed egli sarà per me figlio.” (dal secondo Libro di Samuele)
E’ questo il paradigma che ci permette di
accedere all’ulteriore dignità: quella di essere assunti come figli in forza
del suo Figlio Gesù Cristo. E “siccome nessuno conosce il Padre se non il
Figlio, è col Figlio, solo testimone fedele, che dobbiamo apprendere e
conoscere il Padre.” (Sant’Ilario di Poitiers)
Perciò ritorniamo in noi, non lasciamoci
fuorviare dalle meschinità umane di questi ultimi giorni, siamo già nella
vigilia della notte santa, guardiamo a quella fanciulla, al suo indomito
marito, cercando d’immaginare la scena che descrive il Vangelo:“…ed ecco
concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e
verrà chiamato Figlio dell’Altissimo.” (dal Vangelo secondo Luca)
In modi diversi, eppure quegli sposi si misero
a disposizione, con il loro corpo e con il loro cuore, alle promesse di Dio. In
modo particolare la Vergine Maria, non dubitò su quel Mistero che le chiedeva
di allattare ed educare colui che verrà alla luce nella notte di Natale. Lei
meditava in cuor suo che quel Figlio era il suo Dio, ma pure suo figlio, suo
Figlio secondo la divinità, suo figlio secondo l’umanità che ha assunto, fin
dal concepimento, in lei. Non sapeva tutto, anche suo marito Giuseppe, ma non
dubitarono sulla fedeltà di quelle promesse, perché la fedeltà del Signore è
per sempre. Anche loro lo furono. E noi?
2Sam 7,1-5.8-12.14-16 / Sal 88(89) / Rm
16,25-27 / Lc 1,26-38digiemme