Quarta Domenica di Avvento (Anno C)
Soffermandomi
sulla figura di Elisabetta mi viene in mente quel famoso detto: “tale padre,
tale figlio”, in questo caso “tale madre, tale figlio”: “…
a che cosa devo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena il tuo
saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio
grembo.” (dal Vangelo secondo Luca)
Il suo bambino, il futuro Giovanni Battista, fa delle capriole, scalciando e facendosi sentire da sua madre, come a dirle che si trovavano di fronte ad uno speciale. D’altra parte Elisabetta lo aveva preceduto perché vedendo entrare la cuginetta Maria, si accorse subito che era incinta e, per di più, incinta del suo Signore. Questo incontro non può, quindi, passare come un evento da incorniciare in un quadro per l’estro di un qualche artista, come d’altronde è avvenuto. Questo abbraccio, così viene ben raffigurato per i posteri, sintetizza almeno due incontrovertibili evidenze di cui si dovrebbe fare memoria. Solo una persona che vive al cospetto di Dio, non per formalità tramandata, ma per totale adesione al suo progetto nei suoi confronti, lasciandosi così fare con fiducia, ecco solo una persona, una donna come Elisabetta può essere toccata nella sua fede al punto di essere coinvolta nei disegni di Dio.
Invece, per quanto riguarda il bimbo Giovanni Battista, la cui persona noi oggi ridurremmo con lo sbrigativo appellativo di feto, bisognerebbe fare tutto un discorso sulla vita che è vita umana, che si sviluppa nel nascondimento e nel silenzio, e che sa esprimersi, nelle sue forme e nei suoi messaggi, come un qualsiasi bambino al di fuori del grembo materno e che, come tale, ha tutti i diritti che sono specifici delle creature di Dio. E quel bimbo di solo sei mesi di vita se li è presi tutti, al punto che ha potuto da subito gioirne nell’amicizia che il più piccolo Gesù gli ha offerto. Da quella prima manifestazione come non potremmo allora cantare con il Salmo:“… da te mai più ci allontaneremo, facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome.”
Fosse davvero così, saremmo a posto per i tempi a venire, indipendentemente dall’età di ciascuno, purtroppo non sempre è così quando invochiamo altri nomi, che nulla hanno a che spartire, anche di quelli che si dichiarano cattolici e poi, nella vita, attingono ad opere e pensieri contrari alla morale cristiana. Se ci rendessimo veramente conto che:“… siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre.” (dalla Lettera agli Ebrei)
Allora capiremmo che è quella presenza a trasformare. Lo testimonia anche il suo papà, Giuseppe il carpentiere, di cui abbiamo appena finito la celebrazione del suo anno. In Giuseppe dobbiamo, per altro, evidenziare la solida appartenenza al suo popolo, il concreto rispetto del mandato e nel contempo l’autonoma capacità di discernere ciò che è giusto nel profondo della sua coscienza. Una coscienza impregnata da quell’umiltà che gli ha fatto accettare il ruolo di padre, riversandogli quel casto amore condiviso con quella vergine fanciulla, nella sicurezza e nel calore della Santa Famiglia: “… abiteranno sicuri, perché egli allora sarà grande fino agli estremi confini della terra.” (dal Libro del profeta Michea)
Anche Giuseppe ha, quindi, sperimentato da subito la presenza di Gesù, così come anche ciascuno di noi può sperimentarlo quando ci accostiamo all’Eucarestia e quando gioiamo per una vita che chiede solo di essere accolta. Per chi ne è protagonista non sempre le cose vanno nel verso giusto, ma se ricordiamo loro quello che avvenne a Maria e Giuseppe, quello che avviene nel Natale, allora la gioia sussulterà in loro.
Mi 5,1-4a / Sal 79 / Eb 10,5-10 / Lc 1,39-45
Il suo bambino, il futuro Giovanni Battista, fa delle capriole, scalciando e facendosi sentire da sua madre, come a dirle che si trovavano di fronte ad uno speciale. D’altra parte Elisabetta lo aveva preceduto perché vedendo entrare la cuginetta Maria, si accorse subito che era incinta e, per di più, incinta del suo Signore. Questo incontro non può, quindi, passare come un evento da incorniciare in un quadro per l’estro di un qualche artista, come d’altronde è avvenuto. Questo abbraccio, così viene ben raffigurato per i posteri, sintetizza almeno due incontrovertibili evidenze di cui si dovrebbe fare memoria. Solo una persona che vive al cospetto di Dio, non per formalità tramandata, ma per totale adesione al suo progetto nei suoi confronti, lasciandosi così fare con fiducia, ecco solo una persona, una donna come Elisabetta può essere toccata nella sua fede al punto di essere coinvolta nei disegni di Dio.
Invece, per quanto riguarda il bimbo Giovanni Battista, la cui persona noi oggi ridurremmo con lo sbrigativo appellativo di feto, bisognerebbe fare tutto un discorso sulla vita che è vita umana, che si sviluppa nel nascondimento e nel silenzio, e che sa esprimersi, nelle sue forme e nei suoi messaggi, come un qualsiasi bambino al di fuori del grembo materno e che, come tale, ha tutti i diritti che sono specifici delle creature di Dio. E quel bimbo di solo sei mesi di vita se li è presi tutti, al punto che ha potuto da subito gioirne nell’amicizia che il più piccolo Gesù gli ha offerto. Da quella prima manifestazione come non potremmo allora cantare con il Salmo:“… da te mai più ci allontaneremo, facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome.”
Fosse davvero così, saremmo a posto per i tempi a venire, indipendentemente dall’età di ciascuno, purtroppo non sempre è così quando invochiamo altri nomi, che nulla hanno a che spartire, anche di quelli che si dichiarano cattolici e poi, nella vita, attingono ad opere e pensieri contrari alla morale cristiana. Se ci rendessimo veramente conto che:“… siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre.” (dalla Lettera agli Ebrei)
Allora capiremmo che è quella presenza a trasformare. Lo testimonia anche il suo papà, Giuseppe il carpentiere, di cui abbiamo appena finito la celebrazione del suo anno. In Giuseppe dobbiamo, per altro, evidenziare la solida appartenenza al suo popolo, il concreto rispetto del mandato e nel contempo l’autonoma capacità di discernere ciò che è giusto nel profondo della sua coscienza. Una coscienza impregnata da quell’umiltà che gli ha fatto accettare il ruolo di padre, riversandogli quel casto amore condiviso con quella vergine fanciulla, nella sicurezza e nel calore della Santa Famiglia: “… abiteranno sicuri, perché egli allora sarà grande fino agli estremi confini della terra.” (dal Libro del profeta Michea)
Anche Giuseppe ha, quindi, sperimentato da subito la presenza di Gesù, così come anche ciascuno di noi può sperimentarlo quando ci accostiamo all’Eucarestia e quando gioiamo per una vita che chiede solo di essere accolta. Per chi ne è protagonista non sempre le cose vanno nel verso giusto, ma se ricordiamo loro quello che avvenne a Maria e Giuseppe, quello che avviene nel Natale, allora la gioia sussulterà in loro.
Mi 5,1-4a / Sal 79 / Eb 10,5-10 / Lc 1,39-45
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