Domenica di Pentecoste (Anno A)
“Se senti un soffio nel cielo, un vento che
scuote le porte, ascolta è la voce che viene, è l’invito ad andare lontano…” è
l’inizio del ritornello di una canzone che si cantava in chiesa negli anni ’70.
Un canto molto bello, coinvolgente, che faceva venire la pelle d’oca. Ci
parlava di quegli uomini che furono travolti, trasformati dallo Spirito Santo.
Disperati perché rimasti soli dopo l’ascensione di Gesù, confortati solo dalla
presenza di sua mamma, improvvisamente sentirono dentro di loro un fuoco, quel
fuoco di chi sa ascoltare e capire tutte le Parole d’amore che il Signore aveva
loro insegnato. Erano poveri uomini, pescatori, quasi tutti senza quel minimo
d’istruzione, eppure divennero inarrestabili, evidentemente per meriti non
loro: “…e li udiamo parlare tutti le nostre lingue
delle grandi opere di Dio.” (dagli Atti degli Apostoli)
Lo Spirito Santo risvegliò i loro pregi, i
loro carismi, sciolse i timori e consolidò le attitudini, ma non per loro
stessi, bensì per i meriti delle opere di Dio. Lo strabiliante proselitismo è
il frutto di chi sa annunciare il Dio dei padri, il Dio Padre, il Dio della
vita. Mi piace pensare che questo dono dell’annuncio sia stato possibile perché
quegli uomini, insieme a Maria, erano uniti nella preghiera, erano in comunione
fra di loro, una cosa sola. Conoscevano senz’altro i Salmi:
“…benedici il Signore anima mia”, che bella
espressione, segno di una intimità che rinforza i legami, personali e comunitari,
con tutti coloro che vengono battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo.
Il segno distintivo è il saluto di Gesù:
“Pace a voi”. Rinforzato da una condivisione pazzesca:
“…a coloro a cui perdonerete i peccati,
saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati.” (dal
Vangelo di Giovanni)
Pazzesca, perché Dio ha tanta fiducia
nell’uomo da renderlo partecipe della sua giustizia, pur se è vero che ciò può
avvenire solo se ci si lascia, appunto, trasformare dallo Spirito Santo. Solo
se in ciascuno di noi c’è la certezza che il soffio della vita originario, che
creò la nostra carne nel grembo di nostro madre, che creò la nostra anima in
quel Battesimo donato dalla Chiesa di Gesù Cristo, è il dono della vita stessa
che è in noi.
E’ questo il primo segno di appartenenza,
coscienti che non si è credenti per caso, che ognuno ha un suo specifico peso
nel misterioso disegno che contorna le nostre vite:
“…a ciascuno è data una manifestazione
particolare dello Spirito per il bene comune.” (dalla prima lettera di San
Paolo ai Corinti)
Noi tutti siamo manifestazione della potenza
del Signore, che passa anche attraverso vicissitudini antiche, come quelle dei
primi apostoli, come quelle dei nostri nonni e bisnonni. Perché siamo figli
anche di quelle storie, portiamo un patrimonio genetico e spirituale indelebile
che permette di intrecciare fili invisibili fra una generazione e l’altra. Sentiamo
che non siamo solo un grumo di cellule, destinate a morire poco per volta,
sentiamo che siamo un qualcosa di più, che siamo chiamati a fare cose grandi,
anche se poi agli occhi del mondo potranno sembrare insignificanti. Quel vento
che spalanca le porte ci invita pertanto a non stare con le mani in mano
davanti alla porta, seduti, indifferenti al sole che tramonta, quel vento ci
scompiglia, ci spinge verso il sole, quello che scalda i cuori, come il fuoco
che lo Spirito Santo accenderà in noi.
At 2,1-11 / Sal 103(104) / 1Cor 12,3b-7.12-13
/ Gv 20,19-23
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