Quarta Domenica di
Pasqua (Anno A)
Di solito, dopo la proclamazione del Vangelo,
i fedeli si siedono ed il sacerdote fa la sua omelia, finita la quale si siede anche lui per un paio di minuti, tutti in
silenzio. Come se si dovesse meditare su ciò che si è appena ascoltato dal
predicatore. Dovrebbe essere, invece, l’esatto opposto. Idealmente il
sacerdote, quando si appresta a spiegare la Parola di Dio, ripete il gesto di
Pietro:
“…allora Pietro con gli Undici si alzò in
piedi e a voce alta parlò.” (dagli Atti degli Apostoli)
E’ un gesto che scaturisce dall’ascolto e
dalla preghiera, che non sono un fatto personale, bensì comunitario “…allora
Pietro con gli Undici…”. Mi piacerebbe, al riguardo, che allora, dopo la
lettura del Vangelo, tutti ci sedessimo, in silenzio, come ringraziamento
orante di ciascuno per la Parola ricevuta. Dopo di che, ecco che il sacerdote
“si alza e a voce alta parla”. Uno stile che dovrebbe, quindi, essere assunto proprio
su stimolo del dono dello Spirito Santo con la Scrittura ricevuta.
Il nostro Dio non è una divinità astratta e lontana, senza volto e senza senso, impronunciabile e inavvicinabile, ma è un Dio che si è incarnato, che si lascia trovare e toccare, come avverrà poco più avanti nella Santa Eucaristia. E’ un Dio che cerca lui stesso l’uomo, che gli si affianca perché:
Il nostro Dio non è una divinità astratta e lontana, senza volto e senza senso, impronunciabile e inavvicinabile, ma è un Dio che si è incarnato, che si lascia trovare e toccare, come avverrà poco più avanti nella Santa Eucaristia. E’ un Dio che cerca lui stesso l’uomo, che gli si affianca perché:
“…anche se vado per una valle oscura, non
temo alcun male, perché tu sei con me.” (dal Salmo 22)
Questo Salmo, che è favoloso, ci dovrebbe
essere bene impresso nella mente, soprattutto in questo periodo di difficoltà
estenuanti, in cui davvero ci sembra di essere abbandonati in un intrigo di
debolezze e sofferenze. Però, sempre Pietro, ci scrive che:
“…se facendo il bene, sopporterete con pazienza
la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio.” (dalla Prima Lettera di San
Pietro Apostolo)
Quanti di noi, quella sofferenza, la stanno
proprio vivendo sulla loro pelle o quella dei loro congiunti, delle persone più
care. E’ veramente dura! Quanti amici, buoni, sempre impegnati nel tentativo di
fare del bene, di aiutare chi è in difficoltà, sono stati chiamati alla
sofferenza, all’incomprensione della malattia. A volte non si capisce. Allora
ascoltiamo la sua Parola:
“…Io sono la porta, se uno entra attraverso
di me, sarà salvato, entrerà e uscirà e troverà pascolo.” (dal Vangelo secondo
Giovanni).
Dobbiamo guardare a Lui, che è passato
attraverso la sofferenza, i patimenti per offrirci la possibilità di assaporare
pienamente della vita. Anche quando il sapore è asprigno, prima o poi si
trasformerà in gustosità perché attraverso di Lui si entrerà sì, anche, nel
dolore, ma si uscirà, anche, alla gioia che viene dal suo amore. Quel pascolo
sta ad indicare che troveremo affetti, amicizia, condivisione, progetti da
realizzare per gli altri e con gli altri. E sono progetti di vita.
Infatti Giovanni, nel suo Vangelo aggiunge:
“…io sono venuto perché abbiano la vita e
l’abbiano in abbondanza.”
Che ci rimanga bene impressa questa frase
perché è l’esatto opposto delle parole d’ordine marchiate dalla morte. Quelle
che vogliono ridurre gli uomini a dei numeri per sfruttarli e sottometterli.
Per questo hanno bisogno di legalizzare norme per eleminare i più deboli, i
vecchi, i nascituri, i malati, i dementi, gli andicappati. Non è quello che
vuole Dio, gli basterebbe alzare un dito per cancellare tutto, ma ha scelto di
lasciarsi coinvolgere, soprattutto di coinvolgere chi, per grazia, crede nella
vita e si “alza in piedi e parla a voce alta”.
At 2,14°.36-41 / Sal
22(23) / 1Pt 2,20b-25 / Gv 10,1-10
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