Domenica XXXI T.O. (Anno C)
Guidami innanzi, oscura è la notte, lontano
sono da casa (Jphn Henry Newman).
E’ una preghiera rivolta al Signore affinché
lo sappia condurre attraverso il tempo, rocce e precipizi, montagne e deserti,
attraverso sentieri sconosciuti. Dove verrà condotto, se non verso casa. Perché
Gesù ci vuole in casa, nella sua casa che di volta in volta è la Chiesa, la
nostra vita, il nostro cuore:
“…Buono è il Signore verso tutti, la sua
tenerezza si espande su tutte le creature.” (dal Salmo 144).Nessuno è escluso, tutti possono e devono
trovare un posto dove posare il capo e quel posto è la casa, è la famiglia. Qui
Lui è presente nell’intimità dei coniugi, che lo hanno chiamato, un po' come
Zaccheo, con il Sacramento del Matrimonio.
Oggi non è per niente scontato che
un uomo e una donna lascino le loro case per vivere il loro amore secondo la
proposta cristiana. Sono in molti che lo vedono passare, le folle oceaniche ai
raduni attorno al Papa, quasi tutti hanno anni di catechismo e Sacramenti
d’iniziazione vari, eppure ben pochi corrono, mano nella mano i futuri sposi,
per vederlo ed invitarlo alla loro casa. E Gesù, come a Zaccheo, dice loro che
in quel momento, nel Sacramento del Matrimonio, è con loro e sarà sempre fra di
loro. Fuori lascia la “folla” che cerca l’eclatante, i miracoli, il consenso,
mentre “dentro”, in “casa”, nell’intimità di una compagnia che è vita e dura
per la vita, è il luogo delle rivelazioni e delle confidenze:
“…Tu sei indulgente con tutte le cose, perché
sono tue, Signore, amante della vita (dal Libro della Sapienza)
Ecco perché in questa casa non c’è spazio per
l’aridità, il deserto, il vuoto. Ecco perché l’amore che zampilla in quella
casa è un amore aperto alla vita dove i figli sono il frutto di una fecondità
che non è solo biologica. In questo posto si può capire, nella carnalità, nella
quotidianità, nell’oblatività, nel perdono, cosa significa la dimensione
sponsale fra Cristo e la sua Chiesa. Si tocca con mano l’impegno alla fedeltà, si
vive il diritto di educare i figli in conformità con le loro convinzioni morali
e religiose. Si riconosce, inoltre, la missionarietà della vocazione al
matrimonio quale perno dell’Annuncio nella Chiesa a tutte le genti:
“…Per questo preghiamo continuamente per voi,
perché il nostro Dio vi renda degni della sua chiamata.” (dalla Seconda Lettera
ai Tessalonicesi)
Ed è cosa santa perché senza, il rischio di
cadere nei tranelli del tran-tran di ogni giorno, la
tentazione di chiudersi come su un’isola, sono tentacoli che avvolgono ogni
buona famiglia nel vortice dell’indifferenza verso ciò che sta attorno, nella
Chiesa come nella società. Per essere degni, dunque, di quella chiamata bisogna
continuamente mettersi in gioco, saper correre sempre avanti, salire in alto,
indipendentemente dalla statura perché: “…Oggi per questa casa è venuta la
salvezza…Il figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era
perduto.” (dal Vangelo di Luca)
Tutto, infatti, è perduto se non si cancella
il peccato dalla vita di ogni creatura, solo il Figlio dell’uomo lo può fare e
lo fa ogni qualvolta ci avviciniamo ad un confessionale, oppure quando torniamo
a riaprire la nostra casa a Gesù. Allora scopriamo quella tenerezza unica che
nel Signore si identifica con la consolazione, con il perdono e la benedizione.
E badiamo bene che “invano lavorano i costruttori, se il Signore non costruisce
la casa” Dio la regala ai suoi amici anche nel sonno, purché sia la casa della
vita.
Sap 11,22—12,2 / Sal 144(145) / 2Ts 1,11—2,2
/ Lc 19,1-10
digiemme