Domenica XXX T.O. (Anno C)
acquarello di Maria Cavazzini Fortini, ottobre 2016 |
“…ho cercato il Signore: mi ha risposto e da
ogni paura mi ha liberato. Guardate a lui e sarete raggianti, i vostri volti
non dovranno arrossire.”
E’ così che bisognerebbe uscire, poi, dalla
chiesa. Sicuri, senza alcuna paura di testimoniare il suo Nome, forti della speranza,
per cui, con fermezza e serenità, nessuno ci costringerà più in difesa. Perché
anche noi saremo in grado di ascoltare il grido di chi soffre, infatti:
“…non trascura la supplica dell’orfano, né
della vedova…Chi la soccorre è accolto con benevolenza, la sua preghiera arriva
fino alle nubi.” (dal Libro del Siracide)
La vedova e l’orfano, nel nostro tempo,
inquadrano bene la sorte della madre e del figlio nel suo grembo, quando alcune
condizioni della loro vita indirizzano verso il rifiuto della vita stessa,
nell’indifferenza di chi sta intorno, padre, parenti, amici, società. Sono
sicuro che nessuna madre arriva alla decisione abortiva senza prima aver
bussato ad ogni aiuto, ogni consiglio, forse anche attraverso una “supplica”,
ma il Signore chiama e aspetta chi dovrebbe soccorrerla. I volontari di tutti i
Centri di Aiuto alla Vita possono essere alcuni di quei buoni samaritani. Anche
loro, però, hanno bisogno, come molti altri impegnati nella battaglia sul
fronte della vita, di sapersi fermare ogni tanto, appunto, in quel silenzio di
una chiesa. Perché è lì che trovano benevolenza, che trovano il vero Avvocato,
come l’ha trovato Paolo:
“…nella mia prima difesa in tribunale nessuno
mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato … il Signore, però, mi è stato
vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio
del Vangelo.” (dalla 2a Lettera a Timoteo)
Capisco, allora, che anche a noi è dato di
portare a compimento il nostro incarico, magari sarà solo quello di testimoniarne
una piccola parte, come il Vangelo della Vita, ma dovremo farlo pronti anche a
costo di rinunciare ad alcune comodità, privilegi e, perché no? anche a costo
della vita. D’altra parte se pensiamo alla vita che perdono quei bimbi
abortiti…A consolazione, anche per loro, leggo questo pensiero: “non amo la
morte come fine, ma la amo come inizio. Non come morte, ma come lasciapassare
alla Vita, quella che non ha scadenze di tempo, la amo non per ciò che toglie,
ma per ciò che dona.” (Lina Farronato)
San Paolo, sempre nella sua Lettera a
Timoteo, è convinto che il Signore lo libererà da ogni male e lo porterà in
salvo perché ha combattuto la buona battaglia, conservando la fede. Anche noi
dobbiamo essere convinti di queste possibilità. Certo non si arriva a questi
traguardi a cuor leggero. Bisogna sapersi mettere in gioco, soprattutto in foro
interno e lo si può fare, solo lasciandosi fare dal Signore, nella preghiera e
nell’ascolto della sua Parola, ecco come:
“…Il fariseo, stando in piedi, pregava così
tra sé…Il pubblicano, invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare
gli occhi al cielo, ma si batteva il petto.” (dal Vangelo di Luca)
Non accostiamoci, quindi, al
Signore come dei pari, altri si permettono tale atteggiamento, ma come dei
figli che chiedono umilmente udienza per i propri problemi e quelli delle
persone che ci sono care, anche quelle che non conosciamo personalmente. Per i
nostri problemi occorre non solo battersi il petto perché abbiamo lasciato che
i peccati prendessero il sopravvento, invece per quelli delle mamme (vedove) e
dei loro figli in seno (orfani) occorre supplicare il mandato della carità e
della misericordia. In ginocchio, con il capo chino, ma fiduciosi
dell’investitura giustificata dalla preghiera vera e sincera.
Sir 35,15b-17.20-22a / Sal 33(34) / 2Tm 4,6-8.16-18 /
Lc 18,9-14
diegiemme