9 novembre 2019

L’ACCERCHIAMENTO


Domenica XXXII T.O. (Anno C)
 Guerra del Rogue River(1855-56)
Avete presente quei film western dove i coloni in carovana vengono improvvisamente attaccati dagli indiani o, comunque, da nemici in numero superiore? Per difendersi si dispongono a cerchio riparandosi dietro ai carri e comincia il carosello, finché non arrivano i rinforzi a toglierli dai guai, ma non sempre, purtroppo con la vittoria dei buoni. Ecco, a me sembra di essere in quelle condizioni: accerchiato da nemici che improvvisamente hanno deciso che la mia vita deve cambiare. Devo cominciare a ritenere non più valide certe convinzioni come la famiglia, formata da un uomo e una donna. Se non sei d’accordo gli attacchi saranno spietati ed infatti arrivano le frecce della parificazione per i matrimoni omo, della logica democratica del divorzio, della legalizzazione dell’aborto, dell’educazione gender, della procreazione artificiale, dell’affitto dell’utero, della soppressione dei più deboli con l’eutanasia e altri dardi cui l’immaginazione non riesce a star dietro.
E tu, davvero, non sai più da che parte cominciare a difenderti. In fondo, eri solo in marcia per realizzare, in pace e in concordia, lo spazio della tua vita insieme ad altri che condividono il tuo progetto, un po', appunto, come quello dei famosi coloni. E, invece, no, non ci sono più spazi per chi vorrebbe vivere secondo i propri principi, secondo la propria fede. Se non si è nell’angoscia, poco ci manca:
“…fratelli pregate per noi, perché la Parola del Signore corra e sia glorificata…e veniamo liberati dagli uomini corrotti e malvagi.” (2a Lettera ai Tessalonicesi)
Quindi, la nostra miglior difesa è la preghiera, secondo San Paolo, però con il primo obiettivo di rendere gloria a Dio. Proprio come hanno fatto i sette fratelli di cui si racconta nel Secondo Libro dei Maccabei:
“…siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le leggi dei padri.”
Alcuni di noi, che sono più coraggiosi, non esitano ad imitarli per la difesa della vita stessa della Chiesa, là dove l’essere cattolici vuol dire discriminazione, minacce, carcere, espropri, morte. Non solo nei paesi dittatoriali, ma pure nei paesi liberali dove l’opporsi fisicamente all’omicidio di stato come l’aborto vuole dire maltrattamenti e prigione. Lo ammetto, non ho quel coraggio, eppure sento di fare mia questa bellissima preghiera di Tagore:
“Ti prego, Signore, non togliermi i pericoli, ma aiutami ad affrontarli, non calmare le mie pene, ma aiutami a superarle, non darmi alleati nella lotta della vita, eccetto la forza che mi proviene da te. Non donarmi salvezza nella paura, ma pazienza per conquistare la mia libertà. Concedimi di non essere un vigliacco usurpando la tua grazia nel successo, ma non mi manchi la stretta della tua mano nel mio fallimento.”
Trovo conferma in queste riflessioni, in questa disanima della vita odierna anche in alcuni passaggi del Salmo:
“…custodiscimi come pupilla degli occhi, all’ombra delle tue ali nascondimi di fronte ai malvagi…ai nemici mortali che mi accerchiano.”
Quei versetti sembrano i rinforzi in cui speravano i nostri coloni dietro ai carri. Noi, invece, ci aggrappiamo alla promessa intessuta sul dono della vita che non può, per sua natura ed origine, mai essere separata dal suo Creatore. Perché in fin dei conti noi siamo sì:
“…i figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito…” (dal Vangelo di Luca), cioè, compressi nelle dinamiche del mondo, della nostra carnalità, ma siamo pure: “…sono figli della resurrezione, sono figli di Dio…”
Certo, solo in forza del Sacrificio di Gesù Cristo che noi professiamo, cercando, come dice il Vangelo, di esserne degni, soprattutto rendendogli gloria e cercando, con le nostre povere forze e con la testimonianza, di rompere l’accerchiamento.
2Mac 7,1-2.9-14 / Sal 16(17) / 2Ts 2,16—3,5 / Lc 20,27-38

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