Domenica XXXII T.O. (Anno C)
Guerra del Rogue River(1855-56) |
Avete presente quei film western dove i
coloni in carovana vengono improvvisamente attaccati dagli indiani o, comunque,
da nemici in numero superiore? Per difendersi si dispongono a cerchio
riparandosi dietro ai carri e comincia il carosello, finché non arrivano i
rinforzi a toglierli dai guai, ma non sempre, purtroppo con la vittoria dei
buoni. Ecco, a me sembra di essere in quelle condizioni: accerchiato da nemici
che improvvisamente hanno deciso che la mia vita deve cambiare. Devo cominciare
a ritenere non più valide certe convinzioni come la famiglia, formata da un
uomo e una donna. Se non sei d’accordo gli attacchi saranno spietati ed infatti
arrivano le frecce della parificazione per i matrimoni omo, della logica
democratica del divorzio, della legalizzazione dell’aborto, dell’educazione
gender, della procreazione artificiale, dell’affitto dell’utero, della
soppressione dei più deboli con l’eutanasia e altri dardi cui l’immaginazione
non riesce a star dietro.
E tu, davvero, non sai più da che parte cominciare a
difenderti. In fondo, eri solo in marcia per realizzare, in pace e in concordia,
lo spazio della tua vita insieme ad altri che condividono il tuo progetto, un
po', appunto, come quello dei famosi coloni. E, invece, no, non ci sono più
spazi per chi vorrebbe vivere secondo i propri principi, secondo la propria
fede. Se non si è nell’angoscia, poco ci manca:
“…fratelli pregate per noi, perché la Parola
del Signore corra e sia glorificata…e veniamo liberati dagli uomini corrotti e
malvagi.” (2a Lettera ai Tessalonicesi)
Quindi, la nostra miglior difesa è la
preghiera, secondo San Paolo, però con il primo obiettivo
di rendere gloria a Dio. Proprio come hanno fatto i sette fratelli di cui si
racconta nel Secondo Libro dei Maccabei:
“…siamo pronti a morire piuttosto che
trasgredire le leggi dei padri.”
Alcuni di noi, che sono più coraggiosi, non
esitano ad imitarli per la difesa della vita stessa della Chiesa, là dove
l’essere cattolici vuol dire discriminazione, minacce, carcere, espropri,
morte. Non solo nei paesi dittatoriali, ma pure nei paesi liberali dove
l’opporsi fisicamente all’omicidio di stato come l’aborto vuole dire
maltrattamenti e prigione. Lo ammetto, non ho quel coraggio, eppure sento di
fare mia questa bellissima preghiera di Tagore:
“Ti prego, Signore, non togliermi i pericoli,
ma aiutami ad affrontarli, non calmare le mie pene, ma aiutami a superarle, non
darmi alleati nella lotta della vita, eccetto la forza che mi proviene da te.
Non donarmi salvezza nella paura, ma pazienza per conquistare la mia libertà.
Concedimi di non essere un vigliacco usurpando la tua grazia nel successo, ma
non mi manchi la stretta della tua mano nel mio fallimento.”
Trovo conferma in queste riflessioni, in
questa disanima della vita odierna anche in alcuni passaggi del Salmo:
“…custodiscimi come pupilla degli occhi,
all’ombra delle tue ali nascondimi di fronte ai malvagi…ai nemici mortali che
mi accerchiano.”
Quei versetti sembrano i rinforzi in cui
speravano i nostri coloni dietro ai carri. Noi, invece, ci aggrappiamo alla
promessa intessuta sul dono della vita che non può, per sua natura ed origine,
mai essere separata dal suo Creatore. Perché in fin dei conti noi siamo sì:
“…i figli di questo mondo prendono moglie e
prendono marito…” (dal Vangelo di Luca), cioè, compressi nelle dinamiche del
mondo, della nostra carnalità, ma siamo pure: “…sono figli della resurrezione,
sono figli di Dio…”
Certo, solo in forza del Sacrificio di Gesù Cristo
che noi professiamo, cercando, come dice il Vangelo, di esserne degni,
soprattutto rendendogli gloria e cercando, con le nostre povere forze e con la
testimonianza, di rompere l’accerchiamento.
2Mac 7,1-2.9-14 / Sal 16(17) / 2Ts 2,16—3,5 / Lc 20,27-38
digiemme