XVII Domenica T.O.(Anno B)
Per
il pellegrino medievale la bisaccia, che veniva benedetta prima della partenza
per uno dei tre grandi itinerari di fede, a Gerusalemme, a Roma, a Santiago di
Compostela, assumeva diversi significati. La bisaccia
avrebbe dovuto essere stretta perché il pellegrino non deve portare con sé
altro che una piccola e modesta quantità di denaro in quanto privo di mezzi,
povero come Cristo, povero come gli apostoli, avrebbe dovuto fare affidamento
solo nella divina provvidenza. Inoltre, la bisaccia ricordava al pellegrino la
necessità di mortificare la carne afflitta dai vizi e dalle concupiscenze. Di
essere pronto, quindi, a soffrire la fame, la sete, il freddo, le umiliazioni,
la fatica. Infine la bisaccia non avrebbe dovuto essere chiusa da lacci, e
anzi, doveva avere l’imboccatura sempre aperta, perché il pellegrino deve
dividere i propri averi con i poveri e, dopo, essere pronto a ricevere e
donare.
Il
riferimento alla bisaccia, invece, per il Profeta Eliseo è segno della
benevolenza di Dio per il suo popolo:
“…venne
un uomo, che portò pane di primizie all’uomo di Dio: venti pani d’orzo e grano
novello che aveva nella bisaccia.” (dal secondo Libro dei Re)
Non
demoralizziamoci, quindi, quando ci accorgiamo di avere poco da dare e, con
questa scusa, ci defiliamo dal fare la nostra parte nella condivisione con i
fratelli in difficoltà. Senza andare troppo lontano: quanto poco basta per far
sì che un bambino nel grembo materno abbia in dote un piccolo sacchetto dove
mettere un “progetto Gemma” al fine che la sua mamma possa decidersi, in forza
di questo aiuto a farlo nascere. Sarebbe come dire: “venne un uomo al Centro di
Aiuto alla Vita proveniente dalla Parrocchia tal dei tali e dalla sua bisaccia
tirò fuori quel pane di vita segno della generosità dei figli di Dio e della
sua benevolenza per i più piccoli del suo popolo”.
Allora
anche il Salmo assumerebbe un significato diverso, più attuale:
“…gli
occhi di tutti a te sono rivolti in attesa e tu dai loro il cibo a tempo
opportuno. Tu apri la tua mano e sazi il desiderio di ogni vivente.”
Che
bello vedere in questo gesto di accoglienza il costante dono della vita che
viene riconosciuto ad ogni essere vivente. Non si può e non si deve sopprimere
il desiderio di ogni vivente, in primis, quello di nascere. Tanto più per una
comunità di fede come la nostra che si riconosce, e non può essere
diversamente, nelle parole di San Paolo agli Efesini:
“…un
solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete
stati chiamati, quella della vostra vocazione.”
Eh
sì, cari miei, anche noi siamo chiamati a rendere conto della vocazione che ci
ha contrassegnati nel Sacramento del Battesimo. Se non saremo sacerdoti,
potremo, comunque, essere dei buoni genitori, se non saremo ferventi religiosi,
potremo essere dei buoni laici, se non saremo dei consacrati, potremo, comunque
vivere la vita da discepoli di Cristo come Filippo:
“…allora
Gesù, alzati gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a
Filippo: “dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?”
Diceva così per metterlo alla prova: egli infatti sapeva quello che stava per
compiere.” (dal Vangelo di Giovanni).
Filippo,
inizialmente, era incredulo, anche noi lo siamo, eppure basterebbe così poco
per permettere a Gesù di sfamare tutta questa nostra folla. Lui, in forza del
suo Sacrificio che si rinnova anche oggi nella consacrazione del Pane e del
Vino, del suo Corpo e del suo Sangue, lo sa fare, siamo noi che spesse volte
dubitiamo. Siamo noi che non ci presentiamo come pellegrini, con a tracolla
quella piccola bisaccia, sufficiente comunque, per contenere quei cinque pani e
due pesci. A Lui bastarono, allora, e, ci dice: “bastano anche oggi, abbiate
fiducia in me, so bene che cosa sto compiendo, ma voglio avere voi vicino a me,
sì proprio voi, come un tempo Filippo.”
2Re
4,42-44 / Sal 144(145) / Ef 4,1-6 / Gv 6,1-15
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