XV Domenica T.O.(Anno B)
Efrem
il Siro così si rivolgeva a Dio: “Signore e Sovrano della mia vita, non darmi
uno spirito di pigrizia, di scoraggiamento, di dominio e di vana loquacità!
Concedi invece al tuo servo uno spirito di castità, di umiltà, di pazienza e di
carità.” Possiamo ben associare questo pensiero, questo proposito, questa
preghiera ad ogni uomo che sente la chiamata al servizio di Dio. Sicuramente sarà
stato così anche per il profeta Amos: “…il Signore mi prese, mi chiamò mentre
seguivo il gregge…”. Un uomo che viveva la sua vita in semplicità
accontentandosi della sua famiglia, della sua terra, ma ecco che gli viene
chiesto di mettersi davanti al gregge, di fare veramente il pastore perché le
perdite non possono più essere accettate. Allora come oggi.
Al punto che non
sappiamo più a chi dare ascolto. Un vescovo dice una cosa, una conferenza
episcopale un’altra; un ordine religioso va in una direzione, l’altro in una opposta;
chi dice che nessuna chiesa dev’essere svenduta, chi invece è disposto a
trasformarle in moschee pur di…Ma che diavolo! Si capisce, allora, il perché
del Salmo che s’interroga: “…forse per sempre sarai adirato con noi, di generazione in generazione riserverai la tua ira? Non tornerai tu a ridarci la vita? Perché in te gioisca il tuo popolo?”
Come
dire, che se proseguiamo così quale gioia potremo mai sperimentare nel parlare
della vita che pare sempre più in balia dei padroni del mondo. Come gioiremo
nella liturgia del Signore se sempre più viene trasformato in una liturgia
dell’uomo come i signori del mondo vogliono.
Eppure
San Paolo nella sua lettera agli Efesini non demorde:
“…in
Lui, Gesù Cristo, mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, il perdono
delle colpe, secondo la ricchezza della grazia.”
L’ira
del Signore è superata da quella ricchezza, di generazione in generazione, ma
il suo sacrificio, quello che si rinnova, sempre, su questo altare è, sempre,
necessario per aiutarci a comprendere l’immenso dono della redenzione che ci
viene offerto.
Se
comprendiamo questo passaggio che mette in moto la trasformazione della nostra
vita, perché chiamati, allora anche noi cominceremo ad avere compassione per
chi ci sta intorno, anche perché “la messe è abbondante, ma sono pochi gli
operai” (Mt 9,37). Ci chiama, allora, oggi, Gesù come operai e ci dice pure
come offrire il nostro lavoro:
“…se
in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e
scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro.”
La
testimonianza che in primis dobbiamo portare sta nella coerenza con il
messaggio della Buona Novella che deve essere vissuto nel nostro modo di essere
nella vita di tutti i giorni. Al bando l’ostentazione di ricchezza (non portate
denaro, né due tuniche); senza preoccuparsi più di tanto del domani (non
prendere né pane, né sacca); con semplicità, come portando solo dei sandali;
proclamando sempre e solo la conversione. Se poi tutto questo non sarà
accettato o addirittura ostacolato le conseguenze sono quelle che riporta il
Vangelo. La polvere dei nostri calzari sarà rilasciata non come terra pestata o
infangata, ma come pulviscolo che aleggerà intorno posandosi di volta in volta.
Nessuno se ne accorge, solo un raggio di sole mattutino ne rivela l’esistenza.
Sufficiente, comunque, per coglierne l’antica bellezza in uno spettro di
rimembranze che spingono all’incontro verso chi non smette mai di chiamare.
Anche e, forse, soprattutto, attraverso la polvere dei nostri umili sandali.
Am
7,12-15 / Sal 84(85) / Ef 1,3-14 / Mc 6,7-14
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