LA VIGNA DI BETLEMME



Durante i pellegrinaggi a Santiago e a Roma a piedi, sul “cammino francese” o sulla Via Francigena, mi è capitato spesso di fiancheggiare delle vigne, in alcuni posti, anche di passarvi dentro e ho visto come sono ben curate, come la buona vite e il buon vino non siano frutto della spontanea natura, bensì il risultato del lavoro e della mano dell’uomo. Perciò, ben capisco cosa vuole dire il salmista quando si domanda perché sono state aperte brecce nella cinta della vigna e ogni passante può tranquillamente vendemmiare.
E’ evidente la similitudine con la condizione della Chiesa oggi, che va in rovina. Da mezzo secolo sembra che il vignaiolo e i suoi operai abbiano deciso di lasciare entrare chiunque, cinghiali e bestie della campagna che scavano e sradicano, che dissestano e demoliscono, per trasformare la vigna stessa in terra da pascolo, tutto spianando, dove tutti possono entrare e uscire senza pagare dazio…e tutto va in malora.
Il profeta Michea, invece, ci avvisa che c’è una vigna a Betlemme di Efrata, un piccolo villaggio sperduto fra le brume zolle, quasi come i nostri presepi, dove il Vignaiolo è un piccolo bimbo, appena nato, che lascia tutti a bocca aperta. Come vi opera non si sa bene, solo, dice, che fa la nostra parte, vi è nato e ci sta per noi perché così ha voluto e così ha voluto il Padre suo.
Tutto si è mosso per arrivare a gestire come si deve quella vigna: una vergine pura, semplice, umile, beata; una coppia fedele nelle avversità; un villaggio operoso nel bene e nel male; alcuni poveri fiduciosi e increduli; alcuni re, buoni e cattivi; la creazione attonita e partecipe.
E tutto ciò perché si adempisse la promessa per tutti gli uomini, non solo per un popolo, perché anche noi, oggi, siamo santificati dal sacrificio di Cristo Gesù che dona sé stesso fin dal suo concepimento, affinché ciò che fu fatto nella storia, valga per l’allora come , nello stesso istante, valga anche per l’oggi, e,  senza discontinuità di tempo, valga pure per domani, solo che noi riusciremo a testimoniarlo e tramandarlo.
E riconoscerlo, in umiltà di fede, sapendoci calare nel mistero, non buttarci, ma calarci, riconoscendo che qualcuno ci tiene e qualcuno ci accoglie. Fosse anche un bambino nel grembo di una madre. E’ significativo che ad accogliere il dono di Amore dell’Emmanuel sia, dopo Maria, un bambino nel grembo materno, quello di Elisabetta.
Certo che se disprezziamo e non proteggiamo questi bambini, questi consolatori, questa speranza, il rischio è che nel calarsi possiamo anche sbagliare appiglio oppure base di appoggio con danni incalcolabili. E per ben che vada, potremo trovarvi una “vigna devastata”
Ritorniamo, quindi, ad essere buoni operai nella sua vigna, così che possiamo ancora sussultare di gioia nel sentire la voce di Maria che continua a parlarci e che, in fretta, ci viene a visitare e si mette al nostro servizio. Gioia e beatitudine siano, quindi, i nostri timbri di vita e di esempio, in tal modo vivremo bene il nostro Natale, come vero Natale cristiano e non una festa agnostica e consumistica.
Non dimentichiamo mai, soprattutto davanti a un presepe, nella sua semplicità figurativa, di guardarlo con il cuore e con gli occhi di un bambino per rendere gloria al nostro Salvatore…e nient’altro.
Mi 5,1-4a / Sal 79(80) / Eb 10,5-10 / Lc 1,39-45

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