Lui ha fatto grandi cose per
noi…lo cantiamo spesso nelle nostre liturgie, sulla falsariga del Salmo. Anche
i deserti rientrano in questa logica creativa: sono il luogo del silenzio dove
veramente la voce di uno che grida si può sentire all’infinito come un’eco che
rimbalza da uomo a uomo, da popolo a popolo; sono il luogo degli spazi
illimitati, dove s’ intravedono in modo netto i sentieri che più dritti non si
può, ma che non portano da nessuna parte se non sono preparati come vie del
Signore, e noi siamo gli stradini.
Sta a vedere se siamo veramente
capaci nel preparare una pavimentazione adeguata (quale catechesi?), un
drenaggio perfetto (per non impantanarsi nelle eresie), una segnaletica precisa
(il famoso discernimento?) per indicare l’orizzonte (finalmente) del Paradiso.
Allora ogni tanto lasciamoci
trasportare verso questi deserti che nella concretezza del nostro tempo,
possiamo riconoscere quando entriamo in una chiesa per la liturgia domenicale.
E’ importante capire come andiamo
a Messa, se ci mettiamo sulla stessa lunghezza d’onda della profezia di Baruc.
Deponiamo, allora, l’abito feriale per indossare le vesti belle (l’abito della
domenica), non per pavoneggiarsi (qualcuno sì). Lasciamo i lutti e le
lamentazioni, cioè gli scoramenti, le cose vecchie, un po’ come facevano i
catecumeni che, dopo il Battesimo, dovevano portare la veste bianca come segno
di una nuova vita, affinché il Signore ci rivesta della sua Gloria.
E’ vero, Lui, il Signore, ha fatto
e fa grandi cose per noi (riintona il ritornello), e sono tanto belle che non
si può non guardarle, quando ci riusciamo, con sguardo limpido e gioioso come una
mamma che vede per la prima volta il
figlio appena venuto alla luce.
Anche lei, infatti, lascia alle
spalle gli istanti di afflizione, le incertezze, le paure, così da vincere i
pensieri di morte, i rischi della gravidanza, le fatiche e i dolori del parto,
per abbracciare al seno il frutto del dono del Creatore, sapendo di aver fatto
del suo meglio per continuare la creazione e la bellezza della vita.
Come lei, anche San Paolo gioisce
nei confronti dei Filippesi. Non si felicita con loro perché sono delle brave
persone, bensì perché convinto che siano dei buoni cooperatori per la
diffusione del Vangelo. Notare che la sua approvazione non si ritiene
soddisfatta se non è supportata dalla preghiera che è continua, solo così, gli
procura, e conseguentemente alla comunità, grazie e gioie.
Grazie che altro non sono se non il dono della conoscenza dell’Amore e della
salvezza che porta confrutto dell’umiltà, ben
sottolineata nella scelta dell’incarnazione; frutto della condivisione, significata dalla crescita dell’uomo-Dio
che percorre tutte le fasi della vita, pre-natale, natale, infanzia,
adolescenza, maturità; frutto del
dovere, nel rispetto dello studio, del lavoro, della responsabilità nei
confronti dei propri cari; frutto
della ricerca del senso della vita, evidenziata dalla contemplazione e della
preghiera; frutto del sacrificio, che
si immola sulla Croce per, appunto, la salvezza che viene da Dio.
sé. E la salvezza è Gesù Cristo, con la sua vita fra di noi:
sé. E la salvezza è Gesù Cristo, con la sua vita fra di noi:
Salvezza che è per sempre, da
sempre, senza limiti, se non quelli voluti dall’uomo stesso che può non
riconoscerla, non volerla, sbeffeggiarla.
Salvezza che dà respiro all’uomo,
anche a noi che ci presentiamo fiduciosi, ogni domenica, al cospetto del frutto
del Sacrificio che per Mistero insondabile, ma spianato dalla Fede, si rinnova
in ogni momento a motivo della nostra gloria nella Gloria di Dio: è questa la
sua Liturgia.
Bar 5,1-9 / Sal 125(126) / Fil
1,4-6.8-11 / Lc 3,1-6
digiemme.