Quarta
Domenica di Pasqua
Anno C
In questi giorni di conclave, subissato da
dirette televisive condotte da capisquadra da stadio, tutti si sentono capaci
d’intervenire su questioni che riguardano la Chiesa pur ritenendosi estranei ad
essa o, comunque, miscredenti se non apertamente avversari. Roba da spingere ad
immediato cambio di canale o di veloce passaggio ad altri spot. Anche negli
ambienti di lavoro, pure fra amici al bar o fra fedeli in parrocchia. Questa è
la realtà con cui ci si deve confrontare e spesso cadono le braccia, ma i veri
discepoli di Gesù non demordono e, per consolarsi, tengono presente quanto
accadde ai tempi dei primi apostoli: “…molti giudei e proseliti credenti in Dio
seguirono Paolo e Barnaba ed essi, intrattenendosi con loro cercavano di
persuaderli a perseverare nella grazia di Dio.” (dagli Atti degli Apostoli).
Come dire che, dopotutto, non bisogna
scoraggiarsi, ma accettare il confronto con gli scettici ed insistere con i
credenti tiepidi. Bisogna sfruttare ogni occasione, “senza nascondere la
lampada della legge e della fede, ma innalzarla nella Chiesa come su un
lampadario, per la salvezza di molti.” (San Cromazio di Aquileia)
Il resto è grazia che a tutti viene offerta,
spesso accompagnata con la croce. Motivo per cui la salvezza diventa alla
portata di molti, quelli che, come esorta Sant’Agostino, sanno persistere,
perseverare, tollerare, sopportare l’indugio, perché così sapranno portare la
propria croce.
Alla fine, però: “…l’Agnello, che sta in mezzo
al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita.
E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi.” (dal Libro dell’Apocalisse di
San Giovanni Apostolo)
E’ bello sapere che non si va allo sbando, ma
si è indirizzati verso il ristoro dopo le fatiche e l’arsura di una vita, con
le gioie e le tristezze, le fortune o le sventure. E commuove il pensiero che
in ogni caso Dio raccoglierà ogni lacrima, quella del bimbo ucciso nel grembo
materno o sotto i colpi dei mortai, come quella del malato abbandonato alla sua
penosa e solitaria morte. Gesù Cristo è venuto a dirci proprio questo, che il
Padre non ci abbandona perché noi siamo veramente più in cielo che in terra.
Per questo, se comprendiamo appieno l’immensa portata di questa verità, non
possiamo che: “…acclamare il Signore, voi tutti della terra, servire il Signore
nella gioia, presentarsi a lui con esultanza.” (dal Salmo 99)
Il timbro dell’essere cristiani è, quindi, a
maggior ragione, quello della gioia, di mettersi nella predisposizione ad
incontrarlo per trasmettere ad altri la sua luce che illumina volti e cuori,
anche senza accorgersene. Anche quando la vita non è tenera, non gira come si
vorrebbe. San Pio da Pietrelcina lamentava che molti andavano da lui per farsi
togliere la croce, mentre nessuno andava da lui per capire come portarla. Poi
li lasciava andare via, comunque, indirizzati, con le buone o con le cattive,
verso quel Buon Pastore che ben volentieri accoglie nel proprio ovile, nella
sua Chiesa, ogni fratello disposto a lasciarsi condurre, al punto che: “…le mie
pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la
vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia
mano.” (dal Vangelo secondo Giovanni).
Di fronte a queste Parole c’è da strabiliare: nessuno può staccare quella mano
sicura dal cuore di ogni suo discepolo. Neppure quando ha il potere di
annientare il corpo, di ucciderlo, di bruciarlo, di affogarlo: il nome resta
impresso sulla sua mano, perché il Buon Pastore conosce le sue pecore una per
una, ha conosciuto tutti i suoi santi, i suoi martiri uno per uno, ci conosce
uno per uno. Sì, in quell’ovile c’è posto anche per ciascuno di noi, basta
riconoscergli il degno spazio nella nostra vita e la mano del Signore ci
accompagnerà, proteggerà e guiderà per il giusto cammino.
At 13,14.43-52 / Sal 99(100) / Ap 7,9.14b-17 /
Gv 10,27-30Digiemme.