UNA LUCE NELLE TENEBRE

Seconda Domenica dopo Natale
Anno C

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I miei presepi, compresi quelli che da piccolo facevo con il nonno, sono sempre ambientati in un paesaggio notturno. Una lucina, bella bianca, deve essere posta nella grotta, o nella capanna, nei pressi della culla, o della mangiatoia, di Gesù Bambino, affinché illumini quell’antro buio, ed in particolare, quella piccola statuetta con le braccia alzate e benedicenti:“…la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta.” (dal Vangelo secondo Giovanni)

La nascita di Gesù, quindi, squarcia le tenebre che avvolgono la terra.

E’ un paradosso ai nostri occhi che vedono come la notte segue il giorno, ma non lo è se pensiamo alla condizione in cui si trova il nostro cuore. Stretto fra tentazioni e risoluti peccati che serpeggiano continuamente nelle scelte che punteggiano la nostra vita e quella della società in cui siamo, volenti o nolenti, inseriti. Se le subiamo, vuole dire che siamo nelle tenebre, ma, ed ecco l’evento unico e irripetibile, la venuta al mondo di Gesù le vince, solo che vogliamo guardare a quella luce con occhi diversi e con cuore umile. Come i pastori del presepe, per intenderci. Così non saremo più nel buio e sarà come un rinascere. Già, in effetti, pensandoci bene, nel buio c’eravamo stati per ben nove mesi, là adagiati nel pancione di nostra mamma, e poi all’improvviso la luce. Una condizione di vita diversa, eppure proprio in quel Bambino Gesù si rinnova in ogni vita quanto scrive San Paolo:“…in lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità.” (dalla Lettera agli Efesini)
Cioè la vita di ogni creatura del Buon Dio è segnata fin dal principio, perché già amata e voluta. Gesù, il Figlio di Dio, con la sua incarnazione ci dice questo. Ci dice che “la legge dello Spirito che dà vita, scritta nel cuore, non sulla pietra, in Cristo Gesù, nel quale fu celebrata la Pasqua assolutamente certa, ci ha liberato dalla legge del peccato e della morte.” (Sant’Agostino) Questa liberazione, se vissuta nella pratica giornaliera della carità, ci permette davvero di capire il Salmo:“…Egli mette pace nei tuoi confini e ti sazia con fiore di frumento. Manda sulla terra il suo messaggio: la sua Parola corre veloce.” (dal salmo 147)
Troviamo, quindi, riposo e risorsa, solo se ci pentiamo delle tenebre che abbiamo contribuito ad alimentare. Un pentimento che ci apre la porta della compassione divina perché:“…nella porzione del Signore è la mia eredità, nell’assemblea dei santi ho preso dimora.” (dal Libro del Siracide)
Al riguardo, il riferimento alla sapienza che ha voluto prendere posto in mezzo agli uomini, deve essere motivo di consolazione e di aiuto per poter avere accesso a quella dimora che è la Chiesa di Dio. Non solo come Comunione dei credenti, ma anche come luogo fisico in cui trovare, appunto, pace e nutrimento allo spirito con la Parola ascoltata e il cibo Eucaristico.
E’ qui che possiamo avere conferma che: “tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste, in lui era la vita e la vita era la luce degli uomini.” (dal Vangelo secondo Giovanni)
Il cerchio si chiude. A Giovanni fu chiesto: “Tu chi sei?” e rispose “io sono voce di uno che grida nel deserto!” Giovanni, voce del tempo, mentre Gesù Cristo, il verbo fin dal principio, la Parola eterna. Da parte nostra, umilmente, cerchiamo di essere a nostra volta voce del tempo che viviamo. Impariamo a gridare contro la cultura di morte che ha preso il potere. La vita non può dipendere dagli uomini, la vita viene solo da Dio, anche quando apparentemente muore, perché solo la vita illumina il suo Amore per l’uomo.

Sir 24,1-4.12-16 (nv) 1-2.8-12  /  Sal 147  /  Ef1,3-6.15-18  /  Gv 1,1-18
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