La Madre della Chiesa, nella Chiesa
Seconda Domenica del T.O.
Anno C
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Voglio provare ad immaginare la scena: siamo a
Cana di Galilea, dove, secondo l’evangelista Giovanni, sta avvenendo il primo
miracolo di Gesù. Siamo ad un matrimonio, e già questo è un primo indizio da
tenere presente: il matrimonio, relazione stabile tra uomo e donna, cioè modo
privilegiato che permette di manifestare tangibilmente la vita di relazione tra
Gesù e la Chiesa. Il secondo indizio è l’entrata in gioco di Maria, la madre di
Gesù che gli chiede un suo intervento, ma Gesù è restio a fare il miracolo per
sanare una situazione che, oggettivamente, non è poi la fine del mondo: “…la
madre di Gesù gli disse: “non hanno vino”. E Gesù le rispose: “Donna che vuoi
da me? Non è ancora giunta la mia ora”. Sua madre disse ai servitori:
“Qualsiasi cosa vi dirà, fatela”.” (dal Vangelo secondo Giovanni)
“Donna”! questa espressione, un tantino rigida
di Gesù nel rivolgersi a sua madre, “donna” non può forse intendersi come un
riferimento alla Chiesa, amata sposa di Gesù? Può essere. Di certo c’è che la
madre insiste e Gesù non può dirle di no. Ecco perché, in sostanza, guardando a
questa “donna”, posso semplicemente pensare che Maria di Nazaret è proprio la
Madre della Chiesa, nella Chiesa. Dopo l’invito ai servitori si ritira, ma
rimane lì, continua la sua partecipazione alla festa del matrimonio, mostrando
il volto buono, con i suoi dolci occhi, e le rassicuranti mani cariche di
tenere carezze di madre. Esagero? Non direi, perché c’è proprio da considerare,
in ultima analisi, la “potenza” dell’Immacolata. Infatti, nonostante non vi
fosse un fatto grave cui rimediare, Gesù opera ugualmente il miracolo: glielo
chiede la Madre. C’è un altro fattore da considerare: l’invito a fare tutto ciò
che suo Figlio dice ai servitori, cioè a tutti noi, ovvero che bisogna
obbedire, e operare, in piena fiducia. Se si fa questo, la vita si trasforma,
l’acqua cambia in vino, e tutto cambia, ciascuno di noi cambia, la Chiesa
cambia.
Come possiamo cambiare? Ecco quanto ci dice
l’Apostolo: “…a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito
per il bene comune.” (dalla prima Lettera ai Corinti)
Dobbiamo, allora, anche noi metterci in gioco,
con i carismi che abbiamo ricevuto nel Battesimo. E’ tempo di scoprirli, di
viverli con umiltà, non per soddisfare i propri bisogni, ma per metterli a
disposizione del bene comune.
In questo modo faremo la nostra parte e anche
la Chiesa cambierà, tanto che: “…nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua
terra sarà più detta Devastata, ma sarà chiamata Mia Gioia e la tua terra
Sposata.” (dal Libro del profeta Isaia)
Ecco in che modo Gesù “sposa” la sua Chiesa: la
vuole trarre dalle devastazioni attuali, non vuole più che si continui ad abbandonarla,
che desolazione la sua casa vuota, che delusione coloro che dirigono il
banchetto, e la chiama “Mia Gioia”.
Solo così potremo ritornare a vivere nella
“città della gioia” e potremo dire:“…dite alle genti: “Il Signore regna!” Egli
giudica i popoli con rettitudine.” (dal Salmo n.95)
Diciamolo chiaramente, senza paura, a tutti,
che “uno solo è Dio che opera tutto in tutti”. Certo, opera nella sua
creazione, la custodisce, la trasforma come vuole, come l’acqua in vino, per il
bene della sua creatura per eccellenza: l’uomo. E lascia che sia anche lui
protagonista di ogni trasformazione che migliora la condizione di vita sulla
terra. Gli ha donato il potere di conoscere, indagare, scoprire le meraviglie
della sua creazione, ma se questo potere diverrà fine a sé stesso, anzi, usato
per rifiutare il progetto di Dio per ogni suo figlio, allora saranno “lacrime e
stridor di denti”, perché Egli giudica con rettitudine.
Is 62,1-5 / Sal 95(96) / 1Cor 12,4-11 / Gv
2,1-11digiemme