7 maggio 2022

LA MANO DI DIO

Quarta Domenica di Pasqua  (Anno C)


Di certo non è quella, che come un mito viene ripetuto ad ogni piè sospinto, con la quale quel giocatore n.10 argentino, esultando truffaldinamente, fece gol agli inglesi in quel campionato mondiale di calcio del 1986. E non è neppure immaginabile fiabescamente una mano che scende dai cieli, da oltre le nuvole:“… li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi.” (dal Libro dell’Apocalisse di San Giovanni Apostolo)
Ci sarà sicuramente capitato nel corso della vita di asciugare con la mano, con le dita, magari con la punta di un fazzoletto, delicatamente, le lacrime innocenti di un bambino, o quelle dell’amata. E la tenerezza ci avvolgeva. Così possiamo immaginare anche quella del Buon Dio. Ma quella mano la si può solo sentire, come una carezza, nella preghiera. Quella che si dice mentalmente, quella che non costa nulla, dove nessuno può sapere che hai stabilito un rapporto con Dio. Quella che trasforma il tuo essere, lo rafforza, lo raddolcisce. Nello stesso tempo ricarica, consola e fa divenire il credente, anche il meno importante, più consapevole di sé stesso. Scopre di essere come le acque dei grandi fiumi, che da sorgenti apparentemente insignificanti, si trasformano in ruscelli, torrenti impetuosi, immensi laghi, fertili argini, vie di vita, di civiltà, di progresso.
Ecco, la preghiera produce e trasforma le lacrime, le nostre amare lacrime per tutto ciò che non va in questa vita, come quelle acque a cui siamo condotti. E’ in questo modo che ci tocca la mano di Dio, da cui possiamo avere sollievo e freschezza, con cui possiamo trasformare il dolore in gioia, la sofferenza in pace, la fatica in forza. In aggiunta c’è la promessa:“… io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.” (dal Vangelo secondo Giovanni)
Anche qui ritorna la mano di Dio. Da questo versetto si capisce che la nostra esistenza non è iniziata per caso, sotto un cavolo o deposta dal becco di una cicogna. Siamo stati pensati da sempre, tenuti nell’infinità dell’Amore, inizialmente plasmati nelle sue  mani per chiamare alla procreazione coloro a cui ci ha affidato. Grande è la responsabilità di questi ultimi, dovranno renderne conto in eterno perché nessuno potrà strappare la vita di ogni singola persona umana dalle sue mani impunemente.
D’altronde lo dice anche il Salmo:“riconoscete che solo il Signore è Dio, egli ci ha fatti e noi siamo suoi, suo popolo e gregge del suo pascolo.” (dal Salmo 99)
Siamo di Dio perché la vita è un suo dono. Quindi, non possiamo farne ciò che vogliamo, si deve rispettare la sua volontà che è quella di volerci suoi per sempre. Possiamo, però, anche non riconoscere questo assioma, siamo portatori di libertà, anche quella di negare l’esistenza di un Dio cui fare riferimento durante la vita terrena. Ma dal momento che lo accettiamo, per fede e per sapienza, siamo impegnati a seguire con umiltà e sincerità, appunto come una pecora in un gregge, i suoi passi sui pascoli che solo Lui conosce. Noi conosciamo, però, quel felice pascolo che è la sua Parola, a nostra volta dobbiamo, perciò, accompagnarci chi ancora non ha avuto modo di intravederlo:“… allora Paolo e Barnaba con franchezza dichiararono: “era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio.” (dagli Atti degli Apostoli)
E meno male che non si sono persi d’animo: i giudei non ne volevano sapere, non tutti per fortuna, ma fu una buona occasione per capire che dovevano lavorare nell’annuncio anche rivolgendosi ai pagani. Felice decisione. Anche la nostra generazione ne beneficia. Non so se riusciremo a passare il testimone alla prossima, siamo messi un po’ male, ma la mano di Dio è sempre pronta nel gesto del perdono, oltre che a quello della carezza, come aveva poeticamente decantato il papa buono Giovanni XXIII in quell’antica notte nel discorso alla luna del 1962.
At 13,14.43-52 / Sal 99(100) / Ap 7,9.14b-17 / Gv 10,27-30
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