LE PROMESSE

 ASCENSIONE del Signore (Anno C)

nel suo nome sarà predicata la conversione e il perdono

Si dice che la speranza è l’ultima a morire, in verità neppure dopo la morte, se si riesce a credere che oltre a quella porta c’è altro. Ecco perché non muore, insieme all’anima, perché si predispone ad aspettare colui che sarà giudice della salvezza o della dannazione. I credenti sono così invitati a non demordere: “… manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso.” (dalla lettera agli Ebrei)
Mi torna tra le mani un bellissimo poetico stralcio tratto da “Meditazione sulla morte” di Karol Wojtyla: “La speranza che va oltre la fine”. Dice “nel tempo giusto la speranza s’innalza da tutti i luoghi soggetti alla morte. La speranza ne è il contrappeso, in essa il mondo, che muore, di nuovo rivela la vita … lo spazio del grande mistero si estende tra morte e speranza, uno spazio che corre verso l’alto, come la pietra di luce solare rovesciata all’ingresso del sepolcro.”
Vorrei aggiungere: come la solennità di oggi, con questa Ascensione di Gesù che ci lascia una promessa, anzi due, il suo ritorno e la grazia del Consolatore, di colui che ci dice come coltivare proprio quella speranza.
Il bello che ce lo dice nella semplicità, nei gesti di tutti i giorni, come quelli che ha compiuto Gesù nella sua vita terrena, anche dopo la sua morte: “… mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre.” (dagli Atti degli Apostoli)
….. mentre si consumava il pasto, come già altre volte dopo la resurrezione, il momento più importante della giornata in cui la famiglia, la comunità si ritrova per condividere, comunicare, per annunciare, per sostenersi. Il momento era difficile, così come lo è ora. Tentennamenti e paure pervadevano quei discepoli, quanto vale anche per noi oggi! A loro disse di non allontanarsi dalla città, di non disperdersi, per noi potrebbe voler dire di non allontanarci dalla famiglia, perché è da questa che possiamo e dobbiamo partire per cambiare il mondo. Ed è proprio un ordine, non è un “pourparler”.
“… perché Dio è Re di tutta la terra, cantate inni con arte.” (dal Salmo)
Il canto è, come diceva Sant’Agostino, l’altro modo di fare preghiera. Anche più interessante, se fatto come si deve, nella liturgia. Affinché diventi, appunto, un’arte. “L’arte supera il suo tempo che cerca di opprimerla e rivela il futuro” scriveva Vassily Kandinsky. In effetti, si può proprio dire che rivela il futuro, anche il nostro, svelando l’oggi. È come se un medico, dopo averti visitato, ti dicesse: ti sei raffreddato, avrai la febbre se non ti curi. Ti mostra il futuro in base al tuo stato presente.
Parafrasando, per la Chiesa è la stessa cosa, se non sappiamo più neppure cantare con arte e celebrare come il Signore ci ha indicato di fare, il futuro non è per niente meritevole di rosee previsioni di crescita. Al riguardo, pertanto, non si può restare imbambolati a guardare il cielo, in attesa di segnali preannuncianti sconvolgimenti per ridimensionare i potenti di oggi.
Il Signore ce lo dice chiaramente: “… nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme.” (dal Vangelo secondo Luca)
È un ordine, convertire per ottenere il perdono per tutta la gente che incontriamo, partendo da casa nostra (la nostra Gerusalemme). Lo Spirito Santo l’abbiamo ricevuto, perciò la prima promessa è stata mantenuta. Quindi, tocca a ciascuno di noi, la speranza dobbiamo coltivarla per donarla, come segno tangibile di chi è per la vita, quella che tracciamo sulla terra e quella che intravediamo come promessa una volta per sempre, al compimento della seconda venuta del Signore.
At 1,1-11 / Sal 46(47) / Eb 9,24-28.10,19-23 / Lc 24,46-53
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