LE RETI DI VITA

Quinta Domenica T.O. (Anno C)

44a GIORNATA per la VITA

Traggo da uno scritto di Lucien Jerphagnon questa preghiera: “Signore, senza alcun dubbio, è molto tardi perché possa fare ancora granché di buono nella vita. Devo pur ammetterlo, senza amarezza, semplicemente. Senza accusare la società, il governo, i miei genitori o gli altri in genere. Tuttavia, Signore, vorrei ancora riprendermi. Senza rassegnarmi troppo facilmente ad essere sempre l’ultima ruota del carro, senza coltivare la mia strana caratteristica di non essere un buon a nulla. Signore, vorrei essere ancora buono a far qualcosa, pur sapendo che ormai è troppo tardi.”
Mi ci ritrovo in questa preghiera.

Soprattutto nell’attuale contingenza in cui ci troviamo a vivere, in società come nella Chiesa. Mi soffermo, perciò su: “… poi udii la voce del Signore che diceva: “chi manderò e chi andrà per noi?” E io risposi: “eccomi, manda me!”…” (dal Libro del profeta Isaia)
Se non sarò un buon pescatore, potrò, comunque, essere un buon mozzo, magari imparerò a riparare le reti o a lucidare le fiancate della barca. Ho visto tante miserie create dall’odio, dall’indifferenza, dall’egoismo, ma ho visto anche altrettante grazie, frutto della fede e della preghiera: “… per grazia di Dio, però, sono quello che sono e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io, però, ma la grazia di Dio che è in me.” (dalla prima Lettera ai Corinti di San Paolo)
Se si prega e ci si lascia fare dal Signore, mi si sta dicendo, c’è sempre la possibilità di sperimentare quanto San Paolo ha trovato sulla sua strada di persecutore e di assassino. Il Buon Dio non disdegna di rivolgersi a chi lo disconosce, a chi lo sfida, perché non esiste per Lui una sola creatura che non sia stata voluta per sé stessa. Non ha creato elite a priori, santi o martiri, beati o vescovi, vergini o monaci. Ha creato ciascuno di noi, a sua immagine e somiglianza, con l’incontrovertibile imprimatur dell’amore, residente nella coscienza e nella conoscenza della legge morale. Per questo il salmista può pregare: “… Signore, il tuo amore è per sempre, non abbandonare l’opera delle tue mani.” (dal Salmo 138)
Però ci sono molte situazioni in questo mondo per le quali persino le opere più diligenti, le parole più profonde e le azioni più intelligenti non possono produrre effetto alcuno. Forse perché manca l’affidamento: “… Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla, ma sulla tua parola getterò le reti.” (dal Vangelo secondo Luca)
Allora, nel campo di battaglia entra l’affidamento, esso può tutto, anche trasformare dei poveri uomini in pescatori di uomini. Per sollevarli dalle sofferenze, dalla miseria, per rendere loro dignitosa la vita. Certo! Tutto questo, però, come conseguenza della salvezza che viene da Gesù Cristo, che libera dal peccato, capace di donare la propria vita per amore di ciascuno di noi.
Oggi celebriamo la 44° giornata per la vita, indetta dai vescovi italiani, all’indomani della legalizzazione dell’aborto, affinché non ci stancassimo di testimoniare e di credere che il diritto alla vita è la pietra angolare su cui costruire la casa dell’uomo, dove tutti vengono accolti, aiutati a crescere, custoditi, amati fino alla fine ed oltre.
Le reti di vita che dobbiamo gettare sono, quindi, le nostre armi per non permettere l’immane tragedia che si consuma nel mondo con decine di milioni di aborti legali, omicidi impuniti, anzi voluti e finanziati per gli scopi più egoistici ed aberranti che si possono immaginare. Le reti di vita che dobbiamo riparare sono quelle che l’indifferenza, anche all’interno della Chiesa, ha lasciato marcire negli angoli delle nostre coscienze. Le nostre reti di vita devono, perciò, saper trarre a riva tutti quegli uomini di buona volontà che sanno ancora offrirsi per ripristinare la speranza in questa umanità disperata. Che anche loro possano dire: “Eccomi, manda me!”
Is 6,1-2a.3-8 / Sal 137(138) / 1Cor 15,1-11 / Lc 5,1-11
digiemme