RISORGERE

Domenica di Pasqua
Risurrezione del Signore

Come si fa, in una domenica di Pasqua, a non parlare o scrivere della festa per eccellenza della cristianità? E’ impossibile, perché l’evento che ricordiamo è lo spartiacque della stessa nostra esistenza. Lo è stato per la storia dell’umanità e tutti, chi più, chi meno, da quel famoso 33dc devono fare i conti con quella croce. Chi l’ha rifiutata, chi l’ha derisa, tanti, troppi, ma anche chi l’ha abbracciata perché dice il Salmo: “…non morirò, ma resterò in vita e annuncerò le opere del Signore.”
Opere che passano dentro la missione di Gesù, ossia portare la salvezza, la libertà dal male e, quindi, la gioia piena, a tutti gli uomini, di ogni luogo e di ogni tempo. Una gioia che ciascuno di noi nel corso della sua vita avrà sicuramente sperimentato. La Pasqua è la festa della gioia, è pure, però, quell’insieme, quel mix, di dolore per quello che ha sofferto Gesù, di inquietudine per quel silenzio che si espande dal suo sepolcro, di meraviglia per quella tomba vuota e:“…allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.” (dal Vangelo secondo Giovanni).
Quando capii per quale motivo quell’ apostolo vide e credette, non ho più avuto dubbi, anch’io, durante quella Pasqua dei miei vent’anni, credetti. E cominciai ad accostarmi alla Chiesa, a capire che la mia religiosità, la mia spiritualità trovavano sbocchi soddisfacenti sotto l’altare del Sacrificio, sotto la croce, quasi come a sostenere Maria, la mamma di Gesù, la Vergine dei poveri. Mi rendevo conto di essere uno di loro, uno cui Madre e Figlio ripetono che la vita di ogni individuo, anche la mia, è episodio sacro e benedetto. Se tale è, ed è così, capisco la parola di Pietro negli Atti degli Apostoli:“…e ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio.”
Capisco, perciò, che per il Signore, nella sua giustizia, non ci sono creature di serie A, noi che ci raccontiamo, che ci leggiamo, che calpestiamo questa terra di dolore e di gioia, e creature di serie B, quelle che anche durante la settimana santa non hanno visto la luce perché uccise prima di nascere, innocenti, mandate al macello senza alcuna colpa, come Gesù, agnelli sacrificati al delirio di onnipotenza dell’uomo e delle sue leggi. Capisco, allora, perché a tutti viene data la possibilità e il diritto di risorgere: a me dai miei peccati, agli innocenti dall’oblio, ai disperati dal loro rifiuto dell’Amore, perché risorgere significa rinascere. Risorgere significa guarire, anche da questa malattia che ci opprime, questo virus che prende il posto del demonio, in una specie di nuova religione, di parodia di quella cristiana. Che ci obbliga ad atteggiamenti impropri, anche durante le liturgie, a confidare nel vaccino come ad un nuovo battesimo, con le mascherine che sembrano sostituire le croci, con il gel al posto dell’acqua santa.  Occorre, perciò, sentire e celebrare questa Pasqua come:“…celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità.” (dalla prima Lettera ai Corinzi)
Gesù risorto inviò i suoi discepoli per il mondo, a testimoniare con la loro vita la sua missione, il suo Amore per sempre fino alla fine del mondo, un Amore che spalanca l’eternità nella gioia: “…vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.” (Gv 15,11). I discepoli, nei loro anni di vita, non ebbero, però, vita facile, come anche noi, in questo tempo di sofferenza, non ce l’abbiamo, ma nella luce della Risurrezione, sicuro che abbiamo chi cammina con noi, Maria a cui chiediamo, instancabilmente, di accordarci il suo conforto.

At 10,34a.37-43 / Sal 117 / 1Cor 5,6b-8 / Gv 20,1-9
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