Domenica delle Palme e
della Passione di Gesù
Prendo
spunto dal titolo di un canto quaresimale che interroga sulla presenza presso
la croce, presso il sepolcro di Gesù. E’ un riferimento che mi sembra
appropriato perché ad ogni domenica delle palme ci
troviamo a vivere, liturgicamente parlando, due stati d’animo contrapposti:
l’allegria giuliva rappresentata, appunto, dai rami d’ulivo o delle palme da
una parte e, dall’altra, la lacerante lettura della Passione di nostro Signore,
alla fine della quale si resta annichiliti. Quel “c’eri tu” vale soprattutto
per me, ecco perché il “c’ero io” mi ricorda tanto quella storiella del
puledrino d’asina che portò in groppa il Signore quando fece l’ingresso in
Gerusalemme. Tutto contento, quell’asino andò da sua madre per raccontarle che
quella mattina, mentre entrava in città, tutta la gente lo festeggiava, gli
mettevano i mantelli sotto le zampe, gli sventolavano le palme, lo acclamavano.
Mamma asina, perplessa gli diceva che non era possibile, perché quei gesti di
festa erano per colui che stava in sella. Non si convinceva, e per farla breve
gli disse, quindi, di riprovare a fare lo stesso tragitto. Cosa che fece, nella
più completa indifferenza della folla. Ritornò deluso dalla mamma. Lo consolò,
dicendogli che, dopotutto, rimaneva sempre un asino, anche se aveva avuto
l’onore di portare il Re dei re. Dopotutto
rimango sempre quel che sono, pur se il Signore mi ha concesso tanto, con i
sacramenti, con il suo sacrificio che si rinnova ad ogni Consacrazione. La
differenza sta nel fatto che, pur nel rinnegamento, come quello di Pietro, nel
tradimento, come quello di Giuda, nella fuga, come quella degli altri
discepoli, Lui continua ad offrirmi il perdono perché:“…il
Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo perché io sappia indirizzare una
parola allo sfiduciato.” (dal Libro del Profeta Isaia)
Oggigiorno di sfiduciati ce ne sono parecchi e non tanto perché non hanno prospettive di sicurezza per il lavoro, per la salute, di speranze solide per il futuro dei propri figli o nipoti, quanto per il vuoto spirituale che li avvolge. Una parola, meglio se basata sulla Parola, può cambiare il corso di una vita:
“…annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea.” (dal Salmo)
Senza timore, quindi, di presentarsi come cristiano, di raccontare ciò che fece il Figlio di Dio, di quel Dio che si fece uomo e volle salire sulla Croce per riscattare i peccati degli uomini. Non solo di quelli che lo abbandonarono, che lo giudicarono, che lo condannarono, che lo torturarono, che lo derisero, che lo uccisero, ma pure di tutti quelli che, fino ad oggi, ripetono le stesse cose, quando uccidono nel grembo materno, quando calpestano i comandamenti, quando deridono la legge naturale, quando disprezzano la religione, quando infangano i suoi simboli.
Quando succede tutto questo, domandiamoci, allora, “c’ero io, ci sono io”, c’eri tu, ci sei tu” sotto quella croce che sovrasta le nostre chiese, le nostre case, le nostre montagne, i nostri cuori? San Paolo ci ricorda che:
“…Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo.” (dalla Lettera ai Filippesi)
E’ chiaro il riferimento al come dovremmo stare sotto la croce, come quelli che servono il prossimo, i fratelli, nell’aiuto reciproco, materiale e spirituale, magari anche nel canto come facciamo in questa Domenica delle Palme e nel giubilo osiamo inneggiare:
“…Benedetto colui che viene nel nome del Signore.”
Oggigiorno di sfiduciati ce ne sono parecchi e non tanto perché non hanno prospettive di sicurezza per il lavoro, per la salute, di speranze solide per il futuro dei propri figli o nipoti, quanto per il vuoto spirituale che li avvolge. Una parola, meglio se basata sulla Parola, può cambiare il corso di una vita:
“…annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea.” (dal Salmo)
Senza timore, quindi, di presentarsi come cristiano, di raccontare ciò che fece il Figlio di Dio, di quel Dio che si fece uomo e volle salire sulla Croce per riscattare i peccati degli uomini. Non solo di quelli che lo abbandonarono, che lo giudicarono, che lo condannarono, che lo torturarono, che lo derisero, che lo uccisero, ma pure di tutti quelli che, fino ad oggi, ripetono le stesse cose, quando uccidono nel grembo materno, quando calpestano i comandamenti, quando deridono la legge naturale, quando disprezzano la religione, quando infangano i suoi simboli.
Quando succede tutto questo, domandiamoci, allora, “c’ero io, ci sono io”, c’eri tu, ci sei tu” sotto quella croce che sovrasta le nostre chiese, le nostre case, le nostre montagne, i nostri cuori? San Paolo ci ricorda che:
“…Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo.” (dalla Lettera ai Filippesi)
E’ chiaro il riferimento al come dovremmo stare sotto la croce, come quelli che servono il prossimo, i fratelli, nell’aiuto reciproco, materiale e spirituale, magari anche nel canto come facciamo in questa Domenica delle Palme e nel giubilo osiamo inneggiare:
“…Benedetto colui che viene nel nome del Signore.”
Mc 11,1-10 /
Is 50,4-7 / Sal 21 / Fil 2,6-11 / Mc 14,1 – 15,47
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