Domenica delle
Palme (Anno A)
La morte è un dramma talmente grande che la
maggior parte degli uomini lo risolve con il non pensarci mai. Ma in questi
giorni di sofferenza nessuno riesce a non pensarci, tutte le notizie parlano di
morti a centinaia e l’animo s’intristisce. Eppure bisogna andare avanti,
bisogna avere il coraggio delle proprie azioni:
“…il Signore Dio mi ha dato una lingua da
discepolo perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato.” (dal Libro
del profeta Isaia).
Non occorre essere un ministro di Dio, un
religioso, basta saper cogliere quei momenti in cui non servono
parole per trasmettere una forte emozione. Basta un gesto, un ricordo, una
canzone, un tono di voce, un regalo di una persona che non c’è più…e subito
riaffiora sulla tua bocca quel nome, Gesù Cristo, che ti dà quella sensazione
d’immenso che non ti sai spiegare.
“…annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti
loderò in mezzo all’assemblea” (dal Salmo)
Ecco, è questo il modo per tentare di uscire
da quel vortice con cui la morte e il dolore cercano di attrarci per annegarci
nella disperazione. Noi credenti abbiamo questo compito perché siamo i suoi
discepoli, siamo quelli che abbiamo ricevuto il battesimo di vita e che l’abbiamo,
magari anche solo per condizioni famigliari o sociali, confermato nella nostra
vita da adulti. Ora, in questa domenica, festeggiamo con palme e rami di ulivo,
in processione, la gioia dell’accoglienza di Gesù, lo guardiamo con occhi
festanti, non solo nelle chiese, ma pure nelle nostre case quando vi ritorniamo
felici con i rami dell’ulivo benedetto e li appendiamo sulla spalliera del
letto o sulla cornice di una Madonna sulla Seggiola. Giovedì prossimo, però,
siamo invitati alla celebrazione dell’ultima cena. A maggior ragione,
quest’anno sarà una questione di pochi intimi, a parte chi potrà seguirla
attraverso i canali di comunicazione sociale, e forse ci potrà aiutare ad
entrare meglio con la mente e con il cuore in quella stanza dove si consumò, tra
l’altro, il tradimento:
“…questa notte per tutti voi sarò motivo di
scandalo. Sta scritto infatti: Percuoterò il pastore e saranno disperse le
pecore del gregge”. Ma dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea.”
(Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Matteo)
Quei discepoli non capivano, erano allibiti,
ma pure noi lo siamo, come adesso che non riusciamo a capire cosa ci sta
capitando attorno. Eppure quella era una cena, un momento di festa che voleva
celebrare la Pasqua ebraica. Fu sufficiente il passare di poche ore per vedere
cosa succedette di quei discepoli, come aveva profeticamente detto Gesù.
Bastarono un drappello di soldati con quattro funzionari indirizzati da Giuda
per mettere paura a quei discepoli (a dire il vero Pietro un tentativo di
difesa lo fece) che se la diedero a gambe in spalla. Ecco, mi viene un fremito
di angoscia se penso alla situazione in cui ci troviamo noi discepoli di oggi.
Qualcuno che prende la spada, sì, c’è ancora, pur se simbolica, pronto a
pagare, comunque, di persona. E, comunque, il serrate le righe non c’è. Non
tanto per paura, quanto per disorientamento che ci stordisce al punto di non
sapere più gridare che:“…nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è
Signore, a gloria di Dio Padre.”
E’ la professione di fede essenziale del
cristianesimo. Facciamola risuonare in questo nostro benedetto mondo, anche e
soprattutto in questa deprimente storia che stiamo vivendo perché aveva ragione
Manzoni quando scriveva; “Dio non permette mai un dolore ai suoi figli se non
per preparare loro beni più grandi.”
Is 50,4-7 / Sal 21(22) / Fil 2,6-11 / Mt
26,14 - 27,66
digiemme