Quinta Domenica T.O. (Anno B)
“…Andiamocene altrove, nei villaggi vicini,
perché si predichi anche là; per questo infatti sono venuto.” (Vangelo di
Marco)
Gesù è esplicito nell’affermare che è venuto
per la salvezza di quelli che sono lontani, non solo, quindi, per il popolo
prediletto di cui d’altronde faceva parte.
Se questo vale per Lui, a maggior ragione
vale per ciascuno di noi. Non occorre andare in capo al mondo, basta pure
guardarsi un po’ attorno e scoprire che la missione inizia con il bussare alla
porta accanto delle nostre case.
Sembra già, però, di sentire il povero
Giobbe:
“…i miei giorni scorrono più veloci di una
spola, svaniscono senza un filo di speranza. Ricordati che è un soffio la mia
vita.”
Questa parola rivolta al Buon Dio da parte di
Giobbe riecheggia continuamente nelle nostre vite, in quelle canute, non certo
in quelle dei giovani che scoprono, invece, vasti orizzonti davanti a loro.
Certo, sappiamo bene che non è così per
tutti, basta leggere del tasso dei suicidi fra i giovani, oppure del continuo
abbassamento dell’età nel consumo di droghe, sesso e solitudini. Si rasenta
livelli di nichilismo mai raggiunti, di sfruttamento della persona, sociale e
culturale, mai visto e tutto questo fa rimpiangere i tempi dove i “tempi” erano
rispettati, riconoscendo ciò che la saggezza di Giobbe afferma nel ricordare
che la vita è un soffio. Ma se i nostri giorni sembrano svanire, non se ne
vanno, non se ne possono andare se non con un senso di gratitudine per quanto
abbiamo ricevuto, poco o tanto che sia stato.
Già l’essere qui ad ascoltare la Parola del
Signore, già il partecipare ad un’azione liturgica guidati dal Buon Dio, è
segno che i nostri giorni un filo di speranza l’hanno sempre riannodato. Anche
quando in qualche frangente si era spezzato. Se, nonostante tutto, siamo poi
riusciti a riprenderlo è stato solo per merito del Signore come ben viene
sottolineato dal Salmo:
“…Il Signore ricostruisce Gerusalemme, raduna
i dispersi d’Israele; risana i cuori affranti e fascia le loro ferite.”
Sembra di essere al seguito di Gesù, tutti
coloro che si avvicinano trovano ristoro, guariscono dei loro mali, fisici o di
comportamento, e proprio perché suoi discepoli anche noi, come i primi apostoli,
siamo invitati a guardare con fede all’agire di Gesù.
Da qui nasce la santità. Guardate che è così,
i santi sono in mezzo a noi. Fanno come San Paolo:
“…Mi sono fatto debole per i deboli, per
guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti per salvare a ogni costo
qualcuno, ma tutto io faccio per il Vangelo.”
Capite, ogni volta che tendiamo una mano
verso i deboli, pensiamo alla mamma sola con il “fardello” di un bimbo in
arrivo, ogni volta che diciamo con forza che la vita è sacra ed inviolabile,
ecco noi ci facciamo deboli per guadagnare la vita di quella madre, di quel
bimbo che vedrà la luce della vita donata ed accolta. Serviamo per salvare la
dignità di ogni persona, ferita o malata, brutta o deforme, serviamo per
salvare proprio quella persona. Madre Teresa faceva tutto questo perché vedeva
nell’uomo che incontrava il volto di Gesù, San Paolo dice che lo fa per il
Vangelo, cioè lo fa per incontrare e portare Gesù a tutti. Loro sono campioni,
loro sono Santi di Dio e lo sono diventati andando verso i lontani, ma
ancorandosi ad un criterio di vita che si fonda sulla preghiera quotidiana:
“…Si ritirò in un luogo deserto, e là
pregava.” (dal Vangelo di Marco)
Ecco il segreto, la preghiera, in camera
nostra, il deserto, nel silenzio. E’ troppo evidente, Gesù pregava il Padre suo
per noi. Allora noi preghiamo Gesù per darci la forza e la convinzione di
partire alla ricerca dei lontani che, poi, sono così tanto vicini a noi.
Gb
7,1-4.6-7 / Sal 146(147) / 1Cor 9,16-19.22-23 / Mc 1,29-39
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