Così morivano, fucilati, i
Cristeros, in Messico, inneggiando a Cristo, Re del mondo, quando il potere
massonico voleva chiudere una volta per tutte con la Chiesa Cattolica. Ma
fecero i conti senza l’oste, senza la gente veramente cattolica che si sollevò
e combatté, testimoniando e morendo da martiri. Sempre e comunque con il nome
di Cristo Re sulle labbra. Non è retorica, è storia.
Chi di noi, oggi, avrà il coraggio di fare altrettanto? Credo nessuno, perché ormai, imbevuti di principi democratici, di fatto siamo sudditi del relativismo più dispotico che possa esistere.
Senza il Re, senza Dio, all’umanità può succedere di tutto. E satana ci sguazza.
Non è forse avvenuto così anche al Bataclan di Parigi, dove hanno cominciato a sparare mentre si cantava il “bacio dell’amore del diavolo”, suonato in uno sfrenato rock satanico? E’ come se fosse stato chiamato. C’è da farsi accapponare la pelle, oltre che piangere per la morte di persone inconsapevoli e per il dolore dei loro famigliari.
Eppure, dovrebbe essere elementare, please, riconoscere gratitudine e obbedienza a Dio e alle sue leggi, tanto più che ne ricordiamo ogni anno la regalità con la festa che chiude l’anno liturgico: Gesù Cristo è il Re, è il nostro Re, ce lo dice Lui stesso: “..tu lo dici, Io sono Re”.
Ma è un Re che serve, un Re che dà la sua vita per i suoi sudditi. E’ un Re giusto, onnipotente, perché lo è per tutti, anche per noi, oggi, qui fra noi. La sua Regalità è perenne nel tempo, si muove nel tempo, è il tempo il suo luogo, in cui governa la giustizia.
Il profeta Daniele afferma che il suo Regno non sarà mai distrutto, ecco la nostra speranza, nonostante tutto quello che accade. Infatti la morte non lo ha vinto, è resuscitato, è questa la garanzia per la nostra morte, è questo il motivo per cui dobbiamo festeggiare e rendere grazie per la sua regalità.
In Lui sappiamo che c’è l’inizio e la fine, l’Alfa e l’Omega (Apocalisse) che corrisponde alle nostre alfa e omega nel tempo, nel senso che in Lui ci sta la nostra esistenza, perché non siamo frutto del caso o dell’evoluzionismo o del niente.
Pilato non capisce cosa vuol dire essere un Re, con un regno che non è di questo mondo, noi, invece, capiamo che allora c’è il Paradiso e su questa certezza, dobbiamo attrezzarci per raggiungerlo..anche in fretta. San Francesco non ha forse battezzato la morte “sorella morte”?
Fra poco celebreremo il Natale, e via al carosello del tutto e del niente, dimenticandoci che: “…sono venuto nel mondo per dare testimonianza alla verità…”. Cosa vuol dire dare testimonianza se Lui è la Verità? Se Lui è l’Autore della vita? Vuol dire che non si può derogare dai suoi comandi (Adamo ed Eva derogarono), dalle sue Leggi, senza fare i conti con i risultati finali e cioè: se va bene – il Purgatorio - , se in ribellione – l’Inferno - .
Infatti al suo Regno (vedi il Salmo) non si arriva per effetto di una bacchetta magica, di un contratto commerciale, ci si arriva stando nella sua casa, la Chiesa, per tutta la durata della nostra vita. E’ questo il nostro impegno, non è neppure chissà cosa, se viene supportato dalla Fede. Prendiamo, per esempio, Don Camillo di Giovannino Guareschi. L’immagine letteraria più efficace della Regalità Sociale di nostro Signore Gesù Cristo è la Croce che è il vertice, la Croce di Don Camillo cui tutti devono deferenza, a partire dal sacerdote e, quindi, a piramide, tutti gli altri, autorità civili in testa, come è ben delineato nell’episodio che s’intitola la “Processione”.
Chi di noi, oggi, avrà il coraggio di fare altrettanto? Credo nessuno, perché ormai, imbevuti di principi democratici, di fatto siamo sudditi del relativismo più dispotico che possa esistere.
Senza il Re, senza Dio, all’umanità può succedere di tutto. E satana ci sguazza.
Non è forse avvenuto così anche al Bataclan di Parigi, dove hanno cominciato a sparare mentre si cantava il “bacio dell’amore del diavolo”, suonato in uno sfrenato rock satanico? E’ come se fosse stato chiamato. C’è da farsi accapponare la pelle, oltre che piangere per la morte di persone inconsapevoli e per il dolore dei loro famigliari.
Eppure, dovrebbe essere elementare, please, riconoscere gratitudine e obbedienza a Dio e alle sue leggi, tanto più che ne ricordiamo ogni anno la regalità con la festa che chiude l’anno liturgico: Gesù Cristo è il Re, è il nostro Re, ce lo dice Lui stesso: “..tu lo dici, Io sono Re”.
Ma è un Re che serve, un Re che dà la sua vita per i suoi sudditi. E’ un Re giusto, onnipotente, perché lo è per tutti, anche per noi, oggi, qui fra noi. La sua Regalità è perenne nel tempo, si muove nel tempo, è il tempo il suo luogo, in cui governa la giustizia.
Il profeta Daniele afferma che il suo Regno non sarà mai distrutto, ecco la nostra speranza, nonostante tutto quello che accade. Infatti la morte non lo ha vinto, è resuscitato, è questa la garanzia per la nostra morte, è questo il motivo per cui dobbiamo festeggiare e rendere grazie per la sua regalità.
In Lui sappiamo che c’è l’inizio e la fine, l’Alfa e l’Omega (Apocalisse) che corrisponde alle nostre alfa e omega nel tempo, nel senso che in Lui ci sta la nostra esistenza, perché non siamo frutto del caso o dell’evoluzionismo o del niente.
Pilato non capisce cosa vuol dire essere un Re, con un regno che non è di questo mondo, noi, invece, capiamo che allora c’è il Paradiso e su questa certezza, dobbiamo attrezzarci per raggiungerlo..anche in fretta. San Francesco non ha forse battezzato la morte “sorella morte”?
Fra poco celebreremo il Natale, e via al carosello del tutto e del niente, dimenticandoci che: “…sono venuto nel mondo per dare testimonianza alla verità…”. Cosa vuol dire dare testimonianza se Lui è la Verità? Se Lui è l’Autore della vita? Vuol dire che non si può derogare dai suoi comandi (Adamo ed Eva derogarono), dalle sue Leggi, senza fare i conti con i risultati finali e cioè: se va bene – il Purgatorio - , se in ribellione – l’Inferno - .
Infatti al suo Regno (vedi il Salmo) non si arriva per effetto di una bacchetta magica, di un contratto commerciale, ci si arriva stando nella sua casa, la Chiesa, per tutta la durata della nostra vita. E’ questo il nostro impegno, non è neppure chissà cosa, se viene supportato dalla Fede. Prendiamo, per esempio, Don Camillo di Giovannino Guareschi. L’immagine letteraria più efficace della Regalità Sociale di nostro Signore Gesù Cristo è la Croce che è il vertice, la Croce di Don Camillo cui tutti devono deferenza, a partire dal sacerdote e, quindi, a piramide, tutti gli altri, autorità civili in testa, come è ben delineato nell’episodio che s’intitola la “Processione”.
Dopo aver portato il Crocifisso,
da solo, a causa dell’opposizione del sindaco, fino all’argine del grande fiume, conclude
così: “ Gesù, disse Don Camillo ad alta voce, se in questo sporco paese le case
dei pochi galantuomini potessero galleggiare come l’arca di Noè, io vi
pregherei di far venire una tal piena da spaccare l’argine e da sommergere
tutto il paese. Ma siccome i pochi galantuomini vivono in case di mattoni
uguali a quelle dei tanti farabutti, e non sarebbe giusto che i buoni dovessero
soffrire per le colpe dei mascalzoni tipo il sindaco Peppone e tutta la sua
ciurma di briganti senza Dio, vi prego di salvare il paese dalle acque e di
dargli ogni prosperità. ‘Amen’, disse dietro le spalle di don Camillo la voce
di Peppone. ‘Amen’ risposero in coro, dietro le spalle di don Camillo, gli uomini
di Peppone che avevano seguito il Crocifisso ”.
Don Camillo, sì, festeggia come si deve Gesù Cristo Re, perché ha come vertice della sua vita, come principio e come fine, Gesù Crocifisso. Ci ricorda, così, che davanti a Dio l’uomo ha solo dei doveri, perché solo Dio ha diritti.
Don Camillo, sì, festeggia come si deve Gesù Cristo Re, perché ha come vertice della sua vita, come principio e come fine, Gesù Crocifisso. Ci ricorda, così, che davanti a Dio l’uomo ha solo dei doveri, perché solo Dio ha diritti.
Dn 7,13-14 / Sal 92(93) / Ap 1,5-8 / Gv
18,33b-37
digiemme