ALL’ALTARE DI GESU’

 Domenica delle Palme
Anno C

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C’era un prete contadino, due manone screpolate, parroco di un paesino di 150 anime e cappellano di una caserma di almeno 500 militari. Fra i suoi campi dietro la chiesa, la cura pastorale della sua gente e i doveri da ottemperare nei confronti di quei pochi militi che rispondevano alle chiamate per la Messa festiva, la sua missione di “Alter Christus” fra i suoi era pienamente compresa. Pure da me e da altri 5/6 miei compagni d’arme. Ci fu chiara, soprattutto, quando una sera c’invitò ad una Santa Messa nella parrocchiale, solo noi e lui, attorno all’altare, nella luce del solo presbiterio. Ecco, in quel frangente compresi veramente il significato di quell’altare, nell’ascolto di queste parole: 
“…poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me.” E, dopo aver cenato, fece lo stesso con il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi.” (dal Vangelo secondo Luca)

Quello era l’altare di Gesù, dove il suo sacrificio si rinnovava proprio per quegli astanti, grazie al suo “Alter Christus”, quel sacerdote che ci scuoteva come le sue piante, pronto a raccogliere frutti inaspettati anche da quegli smarriti ragazzi. Senza raffinata teologia, quelle parole “sono come un lampo che illumina per noi, in un istante la vita più intima dell’anima di Gesù, il mistero insondabile del suo essere uomo-Dio e del suo continuo dialogo con il Padre.” (Santa Teresa Benedetta della Croce)
Il mistero insondabile che anche San Paolo mette in rilievo quando scrive: “…Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò sé stesso assumendo una condizione di servo, divenendo simile agli uomini.” (dalla Lettera ai Filippesi)
E tutto questo è avvenuto dentro la storia di una umanità intrisa di religiosità, ma incapace di pensare ad un Dio misericordioso e grande nell’Amore, al punto di incarnarsi in una Vergine, all’interno di un matrimonio fra un uomo e una donna. Avrebbe potuto manifestarsi in cento modi diversi, invece ha voluto percorrere tutte le fasi della vita, dal concepimento fino alla nascita, l’infanzia,l’adolescenza, la gioventù e l’età adulta. Non ce ne rendiamo conto, eppure la vita di Gesù si sviluppa proprio come si è sviluppata la vita di ciascuno di noi. E’ per questo che possiamo capire anche il senso della sua venuta: la nostra salvezza e la redenzione dell’umanità intera. Capito questo, non possiamo che divenire suoi discepoli e come tali: “…annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea. Lodate il Signore, voi suoi fedeli.” (dal Salmo 21)
Lo annunceremo sui tetti, nella verità e nella libertà, anche nelle persecuzioni. Senza paura di essere derisi, disprezzati, esiliati. Lo stesso dovremo farlo anche nelle chiese e ai fratelli nella fede, soprattutto a quelli delusi e scoraggiati, anche perché: “…il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato.” (dal Libro del profeta Isaia)
D’altra parte, come diceva Santa Teresa di Calcutta, “i poveri si rivolgono a noi per un conforto. Se noi voltiamo loro le spalle, voltiamo le spalle a Cristo.”
In sostanza, dovremmo davvero essere luce per chi è nelle tenebre della non conoscenza dell’unico Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo. E’ la missione della Chiesa, era la missione di quel prete contadino, “Alter Christus” per sempre. Perciò, non voltiamo le spalle all’altare di Gesù, sarebbe sacrilego. E’ il centro della fede, dove la “preghiera eucaristica” pone in essere l’Eucaristia, quale ringraziamento, lode, benedizione , trasformazione, perché il Signore è presenza reale nella sua ora.
L’ora santa, l’ora della sua passione, morte e resurrezione. All’altare di Gesù Cristo,  presentiamo, allora, anche la nostra ora.

 Is 50,4-7  /  Sal 21(22)  /  Fil 2,6-11  /  Lc 22,14—23,56
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