LA FESTA DOPO LA TEMPESTA
Si
guarda con tristezza le chiese sempre più vuote e si cercano giustificazioni,
le più disparate, che non sollevano, comunque, l’animo. La pratica religiosa
non è più contagiosa, i giovani la disertano e coloro che dovrebbero cercare di
capirne le motivazioni si ripiegano su convegni e miriadi di documenti, senza
ammettere il proprio fallimento. Se dovessimo ragionare con una logica
imprenditoriale sarebbero tutti da licenziare. E non è detto che sia in effetti
così: “… In quei giorni il Signore disse a Mosè: “va’scendi, perché il tuo
popolo, che hai fatto uscire dalla terra di Egitto si è pervertito.” (dal Libro
dell’Esodo)
Che le chiese siano più deserte non sarà, perciò, un allontanamento voluto proprio dal Buon Dio perché ora come allora quel, questo popolo non persegue più i suoi comandamenti? Non ci vuole più vicini, stanco del nostro cuore di pietra, è Lui che ci allontana, fintanto che non siamo più “suo” popolo.
San Cesario di Arles scriveva: “Il Signore dirà a coloro che hanno disprezzato la sua misericordia: uomo con le mie mani ti ho plasmato, ho soffiato io l’alito di vita nel tuo corpo di terra, mi sono degnato di conferirti la nostra immagine e la nostra somiglianza … ma tu, disprezzando i comandamenti di vita hai preferito ..."
Abbiamo preferito e tutt’ora preferiamo la “perversione”. Cioè, a fronte della vita donata a tutti, quanti siamo sulla faccia della terra, anziché ringraziare e rispettarne i dettami, ci permettiamo di decidere chi deve vivere e chi no, stroncando all’alba del concepimento, con l’aborto e le precoci pillole abortive varie, il suo progetto di amore per ogni creatura che lui ha pensato. Certo, dice il Signore, potete farlo, è la libertà, ma non siete più il mio popolo. E’ una sofferenza indicibile, vedere poi che la sua misericordia, il suo sacrificio nel Figlio ucciso per la nostra salvezza, non smuove più di tanto l’apatia di noi che osserviamo quasi senza lottare, senza testimoniare la nostra fede.
Allora ben venga la preghiera del Salmo quando chiede: “… crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo. Non scacciarmi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo spirito.” (dal Salmo)
Quanto è appropriata questa invocazione. Sono sicuro che sapremo elevarla con sincerità nella celebrazione domenicale, smuoveremo così la compassione del Signore nei nostri confronti. Anche questo è un dono smisurato, quante volte me l’hai concessa per darmi perdono e per darmi pace, serenità e abbandono all’amore del Padre.
C’è proprio da rendere grazie, come, con sincera autocritica fa San Paolo: “… rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Gesù Cristo Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento.” (dalla prima Lettera a Timoteo)
Proprio lui, proprio noi. Lui trovò sollievo quando uscì dalle tenebre e dal buio in cui era caduto, noi possiamo rivolgerci alla fonte della vita, al Dio di ogni consolazione. I nostri rimorsi non troveranno sostegno nel rimuginare le proprie idee, ma consolazione nel confidare il proprio dolore a Dio, nostro vero rifugio.
E sarà festa: “… rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti, i quali non hanno bisogno di conversione.” (dal Vangelo secondo Luca)
Quando la tempesta passa si rimane come sollevati, quando ci si perde e, angosciati, non si sa da che parte andare e poi riconosci un luogo da dove eri già passato, riprendi fiducia e riparti con gioia. Ancora più, se trovi qualcuno che ti aiuta nella strada. E poi è festa, anche per i novantanove che stanno ad aspettarti, là davanti e attorno a Gesù, in quelle chiese sempre più deserte, ma piene di quella imprescindibile Presenza, di colui che ha riportato all’ovile questo smarrito fratello.
Es 32,7-11.13-14 / Sal 50(51) 1Tm 1,12-17 / Lc 15,1-32
digiemme
Che le chiese siano più deserte non sarà, perciò, un allontanamento voluto proprio dal Buon Dio perché ora come allora quel, questo popolo non persegue più i suoi comandamenti? Non ci vuole più vicini, stanco del nostro cuore di pietra, è Lui che ci allontana, fintanto che non siamo più “suo” popolo.
San Cesario di Arles scriveva: “Il Signore dirà a coloro che hanno disprezzato la sua misericordia: uomo con le mie mani ti ho plasmato, ho soffiato io l’alito di vita nel tuo corpo di terra, mi sono degnato di conferirti la nostra immagine e la nostra somiglianza … ma tu, disprezzando i comandamenti di vita hai preferito ..."
Abbiamo preferito e tutt’ora preferiamo la “perversione”. Cioè, a fronte della vita donata a tutti, quanti siamo sulla faccia della terra, anziché ringraziare e rispettarne i dettami, ci permettiamo di decidere chi deve vivere e chi no, stroncando all’alba del concepimento, con l’aborto e le precoci pillole abortive varie, il suo progetto di amore per ogni creatura che lui ha pensato. Certo, dice il Signore, potete farlo, è la libertà, ma non siete più il mio popolo. E’ una sofferenza indicibile, vedere poi che la sua misericordia, il suo sacrificio nel Figlio ucciso per la nostra salvezza, non smuove più di tanto l’apatia di noi che osserviamo quasi senza lottare, senza testimoniare la nostra fede.
Allora ben venga la preghiera del Salmo quando chiede: “… crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo. Non scacciarmi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo spirito.” (dal Salmo)
Quanto è appropriata questa invocazione. Sono sicuro che sapremo elevarla con sincerità nella celebrazione domenicale, smuoveremo così la compassione del Signore nei nostri confronti. Anche questo è un dono smisurato, quante volte me l’hai concessa per darmi perdono e per darmi pace, serenità e abbandono all’amore del Padre.
C’è proprio da rendere grazie, come, con sincera autocritica fa San Paolo: “… rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Gesù Cristo Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento.” (dalla prima Lettera a Timoteo)
Proprio lui, proprio noi. Lui trovò sollievo quando uscì dalle tenebre e dal buio in cui era caduto, noi possiamo rivolgerci alla fonte della vita, al Dio di ogni consolazione. I nostri rimorsi non troveranno sostegno nel rimuginare le proprie idee, ma consolazione nel confidare il proprio dolore a Dio, nostro vero rifugio.
E sarà festa: “… rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti, i quali non hanno bisogno di conversione.” (dal Vangelo secondo Luca)
Quando la tempesta passa si rimane come sollevati, quando ci si perde e, angosciati, non si sa da che parte andare e poi riconosci un luogo da dove eri già passato, riprendi fiducia e riparti con gioia. Ancora più, se trovi qualcuno che ti aiuta nella strada. E poi è festa, anche per i novantanove che stanno ad aspettarti, là davanti e attorno a Gesù, in quelle chiese sempre più deserte, ma piene di quella imprescindibile Presenza, di colui che ha riportato all’ovile questo smarrito fratello.
Es 32,7-11.13-14 / Sal 50(51) 1Tm 1,12-17 / Lc 15,1-32
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