LE DODICI CESTE

Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno C)


Non si è andati al risparmio quel giorno: “… tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.” (dal Vangelo secondo Luca)
Increduli, avranno avuto per tutta la vita di che ringraziare quelle più di 5000 persone che, in gruppi da 50, potevano ben guardarsi in faccia e gioire e fare festa in piena comunione. Come si fa anche noi nelle nostre domeniche eucaristiche? Forse, dopo tutto quello che stiamo vivendo, non ne siamo più consapevoli. Ci sfugge sempre più il significato. Santa Teresa Benedetta della Croce scriveva che “L’Eucaristia è il sacrificio eternamente presente di Cristo ed è da intendersi come un’unica azione di grazie, questo è il significato della parola “eucaristia”. E’ vero, ed infatti, oggi è festa speciale, quella del Corpus Domini, solennità cui è legata la famosa processione che, una volta, era proprio piena espressione di testimonianza di fede in Dio: “… sia benedetto Abram dal Dio Altissimo, creatore del cielo e della terra.” (dal Libro della Genesi) Dobbiamo, perciò, rendere grazie per quella benedizione perché in essa viene offerta tutta la creazione, la redenzione e il compimento finale. D’altronde, non può essere diversamente, è insito nell’incommensurabile gesto creativo: “… dal seno dell’aurora, come rugiada, io ti ho generato.” (dal Salmo)
Come non ci si possa commuovere per questa parola che ci parla fin dal principio della maternità, dei colori che accompagnano la vita, della delicatezza e della trasparenza in cui palpita la vita, della volontà generatrice che identifica ciascun essere umano, io proprio non lo capisco. E come se non bastasse, si fa pure cibo di verità di amore per noi, nel dono della vita del Figlio, il quale ci assicura che “chi mangia di questo pane vivrà in eterno”. Sant’Agostino, nelle Confessioni, immagina di sentirsi dire: “… cresci e mi mangerai, ma non sarò io ad essere assimilato a te come cibo per la tua carne, ma tu sarai assimilato a me.” Infatti non è l’alimento eucaristico che si trasforma in noi, ma siamo noi che veniamo da esso misteriosamente cambiati. Per questo l’Apostolo ci avvisa che: “… ogni volta, infatti, che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.” (dalla prima Lettera di San Paolo ai Corinti)
Proprio quell’annuncio molto spesso viene accompagnato dalla morte stessa, nel martirio, dei discepoli e degli innocenti. Lo sgomento che ne deriva, da quei poveri cristi della domenica di Pentecoste in Nigeria, dalla povera piccola Elena trucidata dalla madre, sembra distruggere ogni residuale rito domenicale che ci spinge all’altare di Dio, al fine di trovarci anche noi fra quelle cinquanta persone che ancora credono di essere saziate del pane di vita disceso dal cielo.
Chissà che una di quelle ceste avanzate, contenente pane e pesce non sia stata accantonata proprio per noi, per la nostra chiesa, dove andiamo per celebrare il rendimento di grazie. In realtà, sotto l’altare laterale c’è una cesta, è quella dove depositare del cibo per i poveri della parrocchia.
Non cambierà di molto l’esistenza di questi fratelli nell’indigenza, ma quelle dodici ceste erano state portate via, ne sono certo, mica per sfamare il seguito di Gesù, erano serbate per noi, per ricordare, pure a noi uomini del terzo millennio, che non si vive di solo pane. Che se anche potessimo riempire tutte le ceste del mondo di ogni ben di dio, ma non ci riempissimo noi del vero ben di Dio, il Corpo e il Sangue di Gesù, a nulla sarà valso. Prendiamone atto, anzi, addirittura sappiamo che proprio questo porterà ad una apostasia senza fine. Molti, infatti, se ne stanno andando e se ne andranno perché vogliono essere protagonisti della propria salvezza, e non intendono dire grazie a Gesù per il suo Corpo e il suo Sangue. E non capiscono, purtroppo che senza questo dono non c’è né salvezza, né vita.
Gen 14,18-20 / Sal 109(110) / 1Cor 11,23-26 / Lc 9,11b-17
digiemme