(Corpus Domini) Anno A
"Quando ci rechiamo al Mistero Eucaristico,
se ne cade una briciola, ci sentiamo perduti. E quando stiamo ascoltando la
Parola di Dio, e ci viene versata nelle orecchie la Parola di Dio e la carne di
Cristo e il suo sangue, e noi pensiamo ad altro, in quale grande pericolo non
incappiamo?” (San Girolamo).
Trascrivo questo pensiero che è giovedì sera.
In altro tempo avrei partecipato alla processione del Corpus Domini, ma in
questo tempo quasi tutti i vescovi, i parroci hanno rinunciato alla
processione, preoccupati dagli eventuali assembramenti. In quale grande
pericolo ci stiamo infilando, me lo domando anch’io. Tutti ligi nel rispettare
i dettami delle autorità civili anche in quelle faccende che riguardano solo ed
esclusivamente l’autorità ecclesiale.
Il suggerimento evangelico di dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio è evaporato per un incomprensibile, per la fede, senso del dovere, un pragmatico principio di dovuta prudenza. Salvo, poi, restare attoniti dalle puntuali scientifiche marce indietro, per esempio, sull’uso dei guanti. Ora si vedrà con quale animo ci si avvicinerà alla Comunione, ripensando ai criteri con cui riceverla. E qui ritorna il monito di San Girolamo. Aleggia il rischio che alla fine si riduca il ricevere l’ostia come un semplice rito, una simbologia che ricorda i fatti narrati durante l’ultima cena. E’ sostanzialmente l’indirizzo che hanno preso le chiese protestanti. I risultati li conosciamo. Vogliamo anche noi, Chiesa Cattolica, Apostolica correre questi rischi, cioè disperderci in una apostasia, in una chiesa senza Cristo? La Solennità che oggi celebriamo sostiene di no, sostiene che al centro dell’Annuncio c’è una persona, Gesù Cristo, che possiamo incontrare ogni qual volta ci prostriamo davanti al suo Sacrificio attraverso le mani consacrate di un sacerdote.
Il suggerimento evangelico di dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio è evaporato per un incomprensibile, per la fede, senso del dovere, un pragmatico principio di dovuta prudenza. Salvo, poi, restare attoniti dalle puntuali scientifiche marce indietro, per esempio, sull’uso dei guanti. Ora si vedrà con quale animo ci si avvicinerà alla Comunione, ripensando ai criteri con cui riceverla. E qui ritorna il monito di San Girolamo. Aleggia il rischio che alla fine si riduca il ricevere l’ostia come un semplice rito, una simbologia che ricorda i fatti narrati durante l’ultima cena. E’ sostanzialmente l’indirizzo che hanno preso le chiese protestanti. I risultati li conosciamo. Vogliamo anche noi, Chiesa Cattolica, Apostolica correre questi rischi, cioè disperderci in una apostasia, in una chiesa senza Cristo? La Solennità che oggi celebriamo sostiene di no, sostiene che al centro dell’Annuncio c’è una persona, Gesù Cristo, che possiamo incontrare ogni qual volta ci prostriamo davanti al suo Sacrificio attraverso le mani consacrate di un sacerdote.
Non solo possiamo incontrarlo, ma pure
ascoltarlo:
“…l’uomo non vive soltanto di pane…l’uomo
vive di quanto esce dalla bocca del Signore.” (dal Libro del Deuteronomio)
La Sacra Scrittura, che è ispirata, è la
fonte che ci ristora nei giorni di deserto, è la manna che ci nutre con la
provvidenza che supera le nostre capacità. E’ la boccata d’aria pura che ci
rinfranca, che dona serenità e fiducia in chi tutto può. Per questo dovremmo
anche noi:
“…annunciare a Giacobbe la sua parola, i suoi
decreti e i suoi giudizi a Israele.” (dal Salmo)
Riprendiamo slancio, perciò, nel raccontare
le meraviglie che s’intravedono nei precetti del Signore. Portano alla libertà,
alla valorizzazione di ogni vita, anche della più insignificante, della più
piccola, della più invisibile, ma pur sempre degna di essere vissuta, di essere
condivisa. Perché proprio in forza di quel Sacrificio che avviene sull’altare,
avviene ciò che dice San Paolo ai Corinti:
“…poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché
molti, un solo corpo.”
Non siamo un’associazione, una Ong, uno
Stato, siamo un corpo che vive e si muove con tutti i pregi e i difetti di un
corpo. L’unica cosa certa è che non morirà mai. Potrà stare bene o meno bene,
avrà pure le sue “belle” crisi, ma se persevereremo a credere nella reale
presenza della carne e del sangue di Cristo in quel pane e in quel vino:
“…in verità, in verità vi dico: se non mangiate
la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la
vita.” (dal Vangelo di Giovanni)
E noi la vita la vogliamo, la desideriamo
perché sappiamo che la vita è Gesù Cristo.
Dt
8,2-3.14-16 / Sal 147 / 1Cor 10,16-17 / Gv 6,51-58
digiemme