Signore – gli dice la donna – dammi di quest’acqua |
In questo mese di quaresima stiamo davvero
sperimentando che questo è il tempo di Dio. Non abbiamo potuto cospargerci il
capo con la cenere e gli spazi di deserto cui siamo abitualmente condotti si
sono ampliati. Il nostro deserto, ancora più ampio, è il flagello del
coronavirus. Viviamo l’angoscia e la paura di fronte ad un nemico che non
vediamo, ma ci colpisce in modo implacabile. Tanto che si resta basiti, non si
capisce: tutto va a rotoli, la gente si ammala, muore sola, neppure il conforto
di una persona cara, neppure un significativo commiato religioso.
Si capisce, allora, il popolo israelita che
nel deserto alzò la voce contro Dio perché non avevano più di che dissetarsi.
Anche noi ne siamo tentati, duri di cuore e di comprendonio come siamo:“…se ascoltaste oggi la mia voce! Non
indurite il cuore come a Meriba, come nel giorno di Massa nel deserto.” (dal
Salmo)
Purtroppo il cuore è talmente indurito che la
tentazione di chiudere le porte in faccia al Signore, chiudere del tutto le
chiese, c’è stata. Quanto disamore, forse, quanta poca fede! Al punto che si
ritorna, con insistenza, alla testardaggine del popolo nel deserto:
“…gli Israeliti misero alla prova il Signore
dicendo: “il Signore è in mezzo a noi, sì o no?” (dal Libro dell’Esodo)
E’ un grido che rimbalza nei secoli e si
insinua fra le strade deserte delle nostre città, fra le corsie e i reparti di
rianimazione degli ospedali, fra la diserzione degli uomini nella conversione a
Dio. No! Dio non c’è e non ci sarà se si continuerà a rifiutare la sua Signoria
sull’uomo. Tutto è fermo in campo sanitario a causa dell’emergenza da
affrontare per salvare quanti più ammalati a causa del contagio, tutto il resto
è fermo, rimandato, tranne le esecuzioni degli aborti volontari secondo la legge. Quelli non si fermano. Ancora non lo si è capito e si
continua a rifiutare il progetto di Dio per ogni singola creatura diventata
vita. Nonostante questo peccato si erga a nostra condanna:
“…Dio dimostra il suo amore verso di noi nel
fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi,” (dalla
Lettera ai Romani)
Noi, però, non possiamo partecipare
profondamente alla vita di Dio se non ci convertiamo, se non cambiamo in modo
radicale. “Conversio” in latino significa svolta, mutamento della direzione. Inoltre
il corrispondente greco “metanoia” vuol dire cambiamento della mente. E’ quello
che avvenne alla samaritana al pozzo di Giacobbe. La sua conversione le permise
di capire che non era più tempo di passare la vita a guardare in ogni
direzione. Si mise, quindi, a raccontarlo alla sua gente affinché iniziasse a
seguire un’unica direzione. Così avvenne:
“…non è più per i tuoi discorsi che noi
crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente
il Salvatore del mondo.” (dal Vangelo di Giovanni)
Noi, invece, siamo come quel tale che
“cercava Dio con la sua lampada, così brillante che tutti gliela invidiavano,
ha cercato Dio negli altri, nelle biblioteche, nelle università, col telescopio
e col microscopio, finché si accorse che aveva dimenticato cosa cercava. Allora
spense la lampada, gettò le chiavi, e si mise a piangere. E subito la sua Luce
fu su di lui.” (Angelo Silesius)
Ecco, spegniamo anche noi le nostre lampade
di presunzione, fatte per essere viste ed ammirate e si accenderà l’unica
lampada che conta, quella del nostro cuore di carne, non più di pietra. Allora
questa nuova luce ci guiderà e ci porterà fuori dalla quarantena perché questo
può e deve essere il tempo di Dio.
Es 17,3-7 / Sal 94(95) / Rom 5,1-2.5-8 / Gv
4,5-42
digiemme