LA DIMORA DI DIO

Sesta  Domenica di Pasqua (Anno C)
I Vangeli non raccontano quasi niente della vita di Gesù prima del suo ministero pubblico. E’, però,
facile intuire che i suoi anni sono trascorsi all’interno di una famiglia, quella costituita da sua madre Maria e da suo padre Giuseppe, nel contesto di una comunità parentale e di un tessuto sociale ben ordinato e strutturato. In sostanza la prima dimora dove Dio ha voluto testimoniare la sua incarnazione è la famiglia. Un luogo primario per sviluppare la logica dell’accoglienza, della cura, della protezione, dell’accompagnamento. Si capisce perché è in questo luogo che il figlio dell’uomo trova il giusto modo per venire al mondo. Senza la famiglia c’è il rischio che alla prima difficoltà il figlio diventi un peso, un costo, un impedimento.
Mi aiuta ad esprimere al meglio questo pensiero: “Capita anche a me la mattina di dover attraversare quartieri, mezzi, folle, strade. Odori, volti, paesaggi urbani deprimenti, in mezzo a squarci di cielo e sorrisi di bambini. Sono la quinta dove molto frequentemente mi immergo nella preghiera dei salmi, o del rosario, o nel rimuginare la Parola del Vangelo del giorno. Credo che nessuno se ne accorga, ma io so che in quel momento ciò che mi circonda è “territorio sacro”, perché è sempre sacro il posto dove si è con chi si ama.” (Luigi Maria Epicoco)
Ecco, in famiglia si è, quindi, con chi si ama. Ne fa eco il breve passaggio degli Atti:
“…è parso bene, infatti, a noi, sotto la guida dello Spirito Santo, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenersi dalle carni…e dalle unioni illegittime.”
Non c’è verso, fin da subito, fin dai primi Atti dei discepoli di Cristo il Sacramento del Matrimonio fu uno dei capisaldi dei segni formativi della vita dei cristiani. In quei tempi non era facile fare capire queste cose, ma i frutti non tardarono e anche noi ne gustiamo la bontà, pure con il Salmo: “la terra ha dato il suo frutto. Ci benedica Dio, il nostro Dio, ci benedica Dio e lo temano tutti i confini della terra.”
Eppure ben sappiamo che non sono tutte rose e fiori, se hanno perseguitato Gesù, anche per i suoi discepoli di ogni tempo ed età sarà lo stesso. La città dell’uomo sarà sempre a rischio in attesa che s’instauri la città di Dio: “…è cinta da grandi e alte mura con dodici porte, a oriente tre porte, a settentrione, a mezzogiorno, a occidente tre porte.” (dal Libro dell’Apocalisse)
Questa dimora di Dio è l’archetipo che dovremmo sempre avere a mente nel costruire la nostra città: salda, forte, a difesa dei suoi abitanti. Le porte sono protette perché sono il passaggio per l’annuncio verso tutti i confini della terra, in tutte le direzioni, perché l’amore va coltivato e protetto a tempo debito all’interno per poi testimoniarlo all’esterno. E’ così che il mondo diventa “territorio sacro”. E’ così che il Signore Dio potrà trovare un’altra dimora:
“…se uno mi ama, osserverà la mia Parola e il Padre lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.” (dal Vangelo di Giovanni)
In Giovanni il verbo amare è usato moltissimo, è il passaporto per riuscire a capire cosa c’entra Dio con la propria vita. Il primo timbro da mettere su quel documento è la sua Parola, senza quell’imprimatur e senza la sua traduzione nella nostra vita non è possibile capire cosa vuol dire amare. Se poi, nonostante la buona volontà, dovessimo fare ancora fatica ad osservare quella Parola, l’importante è che ben capisca il Padre. Noi mettiamoci del nostro, non manchiamo nella sua Chiesa, preghiamo nella Sua Liturgia, cerchiamolo nei Sacramenti e scopriremo che effettivamente la vera dimora di Dio siamo noi.

At 15,1-2.22-29 / Sal 66(67) / Ap 21,10-14.22-23 / Gv 14,23-29
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