I Vangeli non raccontano quasi niente della vita di Gesù prima del suo ministero pubblico. E’, però, facile intuire che i suoi anni sono trascorsi all’interno di una famiglia, quella costituita da sua madre Maria e da suo padre Giuseppe, nel contesto di una comunità parentale e di un tessuto sociale ben ordinato e strutturato. In sostanza la prima dimora dove Dio ha voluto testimoniare la sua incarnazione è la famiglia. Un luogo primario per sviluppare la logica dell’accoglienza, della cura, della protezione, dell’accompagnamento. Si capisce perché è in questo luogo che il figlio dell’uomo trova il giusto modo per venire al mondo. Senza la famiglia c’è il rischio che alla prima difficoltà il figlio diventi un peso, un costo, un impedimento.
Mi aiuta ad esprimere al meglio questo
pensiero: “Capita anche a me la mattina di dover attraversare quartieri, mezzi,
folle, strade. Odori, volti, paesaggi urbani deprimenti, in mezzo a squarci di
cielo e sorrisi di bambini. Sono la quinta dove molto frequentemente mi immergo
nella preghiera dei salmi, o del rosario, o nel rimuginare la Parola del
Vangelo del giorno. Credo che nessuno se ne accorga, ma io so che in quel
momento ciò che mi circonda è “territorio sacro”, perché è sempre sacro il
posto dove si è con chi si ama.” (Luigi Maria Epicoco)
Ecco, in famiglia si è, quindi, con chi si
ama. Ne fa eco il breve passaggio degli Atti:
“…è parso bene, infatti, a noi, sotto la
guida dello Spirito Santo, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste
cose necessarie: astenersi dalle carni…e dalle unioni illegittime.”
Non c’è verso, fin da subito, fin dai primi
Atti dei discepoli di Cristo il Sacramento del Matrimonio fu uno dei capisaldi
dei segni formativi della vita dei cristiani. In quei tempi non era facile fare
capire queste cose, ma i frutti non tardarono e anche noi ne gustiamo la bontà,
pure con il Salmo: “la terra ha dato il suo frutto. Ci benedica
Dio, il nostro Dio, ci benedica Dio e lo temano tutti i confini della terra.”
Eppure ben sappiamo che non sono tutte rose e
fiori, se hanno perseguitato Gesù, anche per i suoi discepoli di ogni tempo ed
età sarà lo stesso. La città dell’uomo sarà sempre a rischio in attesa che
s’instauri la città di Dio: “…è cinta da grandi e alte mura con dodici
porte, a oriente tre porte, a settentrione, a mezzogiorno, a occidente tre
porte.” (dal Libro dell’Apocalisse)
Questa dimora di Dio è l’archetipo che dovremmo sempre avere a mente nel costruire la nostra
città: salda, forte, a difesa dei suoi abitanti. Le porte sono protette perché
sono il passaggio per l’annuncio verso tutti i confini della terra, in tutte le
direzioni, perché l’amore va coltivato e protetto a tempo debito all’interno
per poi testimoniarlo all’esterno. E’ così che il mondo diventa “territorio
sacro”. E’ così che il Signore Dio potrà trovare un’altra dimora:
“…se uno mi ama, osserverà la mia Parola e il
Padre lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.” (dal
Vangelo di Giovanni)
In Giovanni il verbo amare è usato
moltissimo, è il passaporto per riuscire a capire cosa c’entra Dio con la
propria vita. Il primo timbro da mettere su quel documento è la sua Parola,
senza quell’imprimatur e senza la sua traduzione nella nostra vita non è
possibile capire cosa vuol dire amare. Se poi, nonostante la buona volontà,
dovessimo fare ancora fatica ad osservare quella Parola, l’importante è che ben
capisca il Padre. Noi mettiamoci del nostro, non manchiamo nella sua Chiesa,
preghiamo nella Sua Liturgia, cerchiamolo nei Sacramenti e scopriremo che
effettivamente la vera dimora di Dio siamo noi.
At 15,1-2.22-29 / Sal 66(67) / Ap 21,10-14.22-23 / Gv 14,23-29
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