Quinta Domenica di
Pasqua (Anno C)
Forse alcuni di coloro che avevano salutato
la svolta del Concilio Vaticano II come un modo concreto e nuovo di adeguarsi
ai cambiamenti del mondo si rifacevano, molto probabilmente al breve passaggio
del Libro dell’Apocalisse:
“…e colui che sedeva sul trono disse: “Ecco,
io faccio nuove tutte le cose.”
Sempre pronti, quindi, a seguire lo Spirito
che, oltre ad ispirare San Giovanni, aleggiava pure sui Padri di quell’Assemblea.
Ero bambino in quei tempi, ricordo che per guardare la TV dei ragazzi in
oratorio dovevamo prima sorbirci il breve riassunto dei lavori giornalieri al
Concilio. Non potevamo capire cosa stava avvenendo, ma presto lo subimmo sulla
nostra pelle. Tutto nuovo: Messa, Sacramenti, considerazioni sui protestanti e
gli altri cristiani, sui comunisti, sugli ebrei e sui mussulmani, sul limbo,
sul purgatorio, sull’inferno e sul paradiso, sui seminari e sui preti, sul
sesso e sul matrimonio, sul lavoro e sull’educazione. Tutte queste cose nuove
in un colpo solo hanno sfiancato la Chiesa. Forse in tutto questo aggiornarsi,
questo studiare, questo innovare, si è finito per scordarsi del Principale al
quale si finì con il non rendere più quell’onore che gli
spetta, come recita il Salmo:
“…anch’io voglio raccontare la tua grandezza.
Diffondano il ricordo della tua bontà immensa, acclamino la tua giustizia.”
Forse a causa di questa dimenticanza si
cominciò con il costruire chiese orrende che sembrano solo capannoni dismessi,
si tolsero le balaustre per non permettere più l’inginocchiamento nel prendere
l’Eucaristia, si decentrò il Tabernacolo e via di questo passo. A quasi
sessant’anni di distanza possiamo constatare quali frutti stiamo cogliendo.
L’albero si riconosce dai suoi frutti. Aveva ragione Montuclard in un suo breve
appunto: “Se vogliamo che si creda alla Chiesa dobbiamo presentare la Chiesa; e
ciò significa vivere il nostro cristianesimo in modo che esso appaia, in virtù
dei suoi mezzi soprannaturali e senza l’ausilio di inutili soccorsi umani, atta
a generare una nuova umanità alla vita, alla libertà, alla comunione e al culto
del Dio vero.” Al punto che si possa ritornare a vivere come i primi discepoli:
“…riferivano tutto quello che Dio aveva fatto
per mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta della fede.” (dagli Atti
degli Apostoli)
E’, quindi, Lui che fa tutte le cose nuove,
quelle vere, quelle nostre sono solo delle scimmiottature e ben si sa cosa
rappresentano le scimmie nel linguaggio figurato.
A noi è chiesto una cosa semplice, oltre a
rendere gloria a Dio, amandolo ed onorandolo sopra ogni cosa, e lo dice in modo
esplicito il Vangelo di oggi:
“…vi do un comandamento nuovo: che vi amiate
gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete
amore gli uni per gli altri.” (dal Vangelo di Giovanni)
Quando ci troviamo per celebrare l’Eucaristia
ci amiamo in questo modo? quando ci accostiamo alle pratiche religiose viviamo
contemporaneamente quell’amore? Quando usciamo dalle nostre adunanze, dalle
nostre catechesi guardiamo ai nostri fratelli nella fede nello stesso modo di
Gesù? Sono domande cruciali perché appunto viene messa in gioco la credibilità
della Chiesa. Non possiamo ridurla alla stregua di un partito, dove si allontana
chi non la pensa allo stesso modo, abbandonandosi, invece, ad un
indifferentismo religioso che arriva a negare nei fatti il senso ultimo della
venuta di Gesù Cristo, della sua opera Redentrice. Questa sì, fa nuove tutte le
cose perché accoglie e ama ogni uomo, lo fa nuovo con la Grazia del Battesimo,
per non lasciare che il peccato lo trascini lontano dalla Verità. Nostro
compito è custodirla e lo possiamo fare amandoci gli uni gli altri dentro la
Chiesa. Il resto è pula.
At 14,21b-27 / Sal 144(145) / Ap 21,1-5° / Gv 13,31-33°.34-35
digiemme