Quarta Domenica di Avvento (Anno B)
Già nel nome, Gesù, c’è tutta la profondità
della volontà redentrice affidata dal Padre (…ed ecco concepirai un figlio, lo
darai alla luce e lo chiamerai Gesù). In ebraico, infatti, il nome Gesù
significa “salvezza”. Nella promessa al Re Davide c’è l’anticipo di quell’amore
paterno che non vuole veder perdere nessun figlio:
“…io sarò per lui padre ed egli sarà per me
figlio…la tua casa ed il tuo regno saranno saldi per sempre.” (dal secondo
libro di Samuele)
E’ una promessa che si estende fino a
ciascuno di noi: lasciamoci trattare come nelle sue intenzioni. Solo così anche
la nostra casa sarà salda per sempre, non subirà profanazioni. Sappiamo quanto
sia facile oggi che questo avvenga.
Basta accendere la televisione o ascoltare
la radio per essere volutamente travolti dalla nuova idolatria del relativismo.
Resistiamo a questi attacchi cui non possiamo sottrarci, pensiamo con fiducia a
quanto ha scritto un gesuita (non uno di questi ultimi), Jean-Pierre De
Caussade: “l’azione divina inonda l’universo, penetra in tutte le creature, le
colma di sé; dovunque esse sono, lei c’è; le precede, le accompagna, le segue.
Si tratta solo di lasciarsi trasportare dalle sue onde.”
Sì, lasciarsi trasportare soprattutto dalla
sua Parola:
…amore e fedeltà precedono il tuo volto,
beato il popolo che ti sa acclamare: camminerà, Signore, alla luce del tuo
volto.” (dal Salmo 88-89)
In quell’azione divina ci sono amore e
fedeltà perché sono il linguaggio della relazione vera fra gli uomini, il
linguaggio dell’incontro fra l’uomo e la donna, lo sposo e la sposa, il marito
e la moglie. Senza questo linguaggio crescerà solo la babelica confusione di
una convivenza destinata a finire. Non a caso, nella storia, ogni qualvolta un
popolo ha cancellato Dio dal suo incedere è finito nel baratro della
dissoluzione. Venendo a noi, se questo nostro popolo non vorrà più camminare
alla luce del volto del Signore, non gli resterà che il canuto e buffo volto di
un qualsiasi babbo natale sponsor di un chiassoso consumismo fine a sé stesso.
San Paolo nella dossologia finale della
lettera ai Romani è di tutt’altro avviso:
“…a colui che ha il potere di confermarvi nel
mio Vangelo che annuncia Gesù Cristo, secondo la rivelazione del mistero
avvolto nel silenzio per secoli eterni.”
Quel silenzio che contorna l’Annuncio
“dell’angelo Gabriele ad una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di
Davide, di nome Giuseppe…allora Maria disse: ecco la serva del Signore, avvenga
per me secondo la tua parola. E l’angelo si allontanò da lei.”
Nel silenzio, sicuramente, restò Maria a
ripensare a quanto le era successo, nel silenzio si alzò per recarsi da sua
cugina Elisabetta, nel silenzio con il suo Sposo Giuseppe si avviò verso
Betlemme. Nel silenzio della notte diede alla luce il suo figlio, “colui che
nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio” (Lc 1,35c).
Nel silenzio dovremo, perciò, metterci
davanti al presepio per contemplare, fanciullescamente, quanto è avvenuto in un
certo luogo ed in un certo tempo, così come avviene oggi, in ogni nostra casa,
nel nostro tempo.
Per rendere l’idea di come questa
contemplazione possa sprigionare tutta la salvezza del Signore, utilizzo una
riflessione di Mazzolari:
“So di portare dentro la presenza, il
fermento di una speranza che va al di là della brevità della nostra giornata.
Sento che la vita ha un ordine di sacrificio a cui non ci si può rifiutare,
senza sentirsi colpevoli; la vita è un dovere, la vita è un costo, la vita è un
impegno, la vita bisogna guadagnarsela.”
Gesù, in quella mangiatoia, pur nel caldo e
nella gioia inconsapevole dei pastori, già avvertiva, in lontananza, l’ombra di
una croce di salvezza, carica del suo dovere, del suo impegno, del suo costo
perché la vita possa essere per sempre.
2Sam 7,1-5.8b-12.14a.16 /Sal 88(89) / Rm 16,25-27 / Lc
1,26-38)
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