Santissima
Trinità (Anno A)
Cattedrale S.S.Trinità - (Tbilisi) |
Il Vangelo di questa domenica dedicata alla
Santissima Trinità è molto chiaro:
“…Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel
mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Chi crede in lui non è condannato, ma chi non crede è già stato condannato.”
Quindi, la scelta fra la condanna e la
salvezza è radicata nella consapevolezza di quanto ciascuno vuole credere o
meno in Gesù Cristo. In nessun altro, solo in lui. Pertanto, se qualcuno dopo
aver conosciuto la storia, la vita, il messaggio di Gesù, ritiene in coscienza
di rifiutarlo, di non seguirlo, di non mettere in pratica il suo Vangelo, è
condannato al nulla nella vita dopo la morte.
Come non considerare questo “nulla” il luogo
che la Chiesa identifica nei Novissimi in quello spazio chiaramente chiamato
Inferno? che per dovere di cronaca non è mai stato simbolo, a beneficio di qualche gesuita che si è trasferito armi e bagagli sul versante sbagliato
seguendo un abbagliante ecumenismo a senso unico.
Per capire meglio, leggiamo dall’Esodo: “…Dio
misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e fedeltà.” Un
passaggio molto bello che ci presenta il viso e il cuore di Dio in quelle
espressioni che ben poteva capire il popolo israelita così tanto infedele ed
opportunista. Infatti, vista la sua dura cervice, il versetto successivo (che
non verrà letto, nel nostro caso, domenica) prosegue: “…che conserva il suo
amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione, il
peccato, ma non lascia senza punizione…).
Avete capito: il suo amore è per sempre, e
quindi anche per noi, e perdona, perdona, perdona, anche noi, ma, seppur
pentiti, non ci lascia senza punizione. E’ la “famosa” penitenza. Provate,
perciò, ad immaginare quale potrà essere la punizione quando ci si presenterà
davanti al giudizio di Dio senza pentimenti per quanto di male avremo fatto
nella vita terrena. Per forza, di conseguenza, l’inferno non potrà essere vuoto.
E’ nella logica delle cose, insito nella rivelazione.
Proprio per questo motivo possiamo e dobbiamo
salmodiare: “…degno di lode e di gloria nei secoli.” La lode nei secoli è, ora,
compito nostro e dobbiamo farlo in una liturgia degna e rispettosa dei dettami
tramandataci dalla Scrittura e dalla Tradizione, dove il soggetto principale è
sempre e solo Dio. Appiattirsi su esigenze diverse che vogliono portare al
“centro” il popolo di Dio, è un tradimento dei principi basilari del rapporto
con il sacro. Una buona vita vissuta nella giusta alternanza fra il lavoro e la
preghiera (ora et labora) definisce e delinea con coerenza quanto riportato da
San Paolo ai Corinti: “…siate gioiosi, tendete alla perfezione, fatevi
coraggio, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e
della pace sarà con voi.”
Che autostrada tracciata in questa lettera
che arriva fino a noi e che potremo percorrere con agevolata tranquillità.
Vorrei sottolineare quel “siate gioiosi” perché ciò che deve contraddistinguere
un buon cristiano è la “gioia”. Che serve, la gioia, per testimoniare che si
può essere per la vita, perché il sacrificio che salva, quello di Gesù Cristo,
ci garantisce la bontà del nostro agire, delle nostre scelte. Di più, ti spinge
alla “perfezione” che deve essere tipico dei figli di Dio. Se non si tende alla
perfezione, nella gioia, si rischia di rimanere nel guado. Facciamoci, quindi
coraggio, “con gli stessi sentimenti”, viviamo in pace fra di noi, e poi con
tutti, e vedremo che Dio, nella Santissima Trinità, il Dio dell’amore e della
pace è con noi. La salvezza è, perciò, più vicina di quanto possiamo
immaginare. Si tratta solo di ascoltare la sua Parola, proprio questa di oggi,
e di viverla come dovremmo.
Es 34,4b-6.8-9 / Dn 3,52-56 / 2Cor 13,11-13 / Gv
3,16-18
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