10 giugno 2017

LA CONDANNA E LA SALVEZZA



Santissima Trinità  (Anno A)
Cattedrale S.S.Trinità - (Tbilisi)
Il Vangelo di questa domenica dedicata alla Santissima Trinità è molto chiaro:
“…Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato, ma chi non crede è già stato condannato.”
Quindi, la scelta fra la condanna e la salvezza è radicata nella consapevolezza di quanto ciascuno vuole credere o meno in Gesù Cristo. In nessun altro, solo in lui. Pertanto, se qualcuno dopo aver conosciuto la storia, la vita, il messaggio di Gesù, ritiene in coscienza di rifiutarlo, di non seguirlo, di non mettere in pratica il suo Vangelo, è condannato al nulla nella vita dopo la morte.
Come non considerare questo “nulla” il luogo che la Chiesa identifica nei Novissimi in quello spazio chiaramente chiamato Inferno? che per dovere di cronaca non è mai stato simbolo, a beneficio di qualche gesuita che si è trasferito armi e bagagli sul versante sbagliato seguendo un abbagliante ecumenismo a senso unico.
Per capire meglio, leggiamo dall’Esodo: “…Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e fedeltà.” Un passaggio molto bello che ci presenta il viso e il cuore di Dio in quelle espressioni che ben poteva capire il popolo israelita così tanto infedele ed opportunista. Infatti, vista la sua dura cervice, il versetto successivo (che non verrà letto, nel nostro caso, domenica) prosegue: “…che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione, il peccato, ma non lascia senza punizione…).
Avete capito: il suo amore è per sempre, e quindi anche per noi, e perdona, perdona, perdona, anche noi, ma, seppur pentiti, non ci lascia senza punizione. E’ la “famosa” penitenza. Provate, perciò, ad immaginare quale potrà essere la punizione quando ci si presenterà davanti al giudizio di Dio senza pentimenti per quanto di male avremo fatto nella vita terrena. Per forza, di conseguenza, l’inferno non potrà essere vuoto. E’ nella logica delle cose, insito nella rivelazione.
Proprio per questo motivo possiamo e dobbiamo salmodiare: “…degno di lode e di gloria nei secoli.” La lode nei secoli è, ora, compito nostro e dobbiamo farlo in una liturgia degna e rispettosa dei dettami tramandataci dalla Scrittura e dalla Tradizione, dove il soggetto principale è sempre e solo Dio. Appiattirsi su esigenze diverse che vogliono portare al “centro” il popolo di Dio, è un tradimento dei principi basilari del rapporto con il sacro. Una buona vita vissuta nella giusta alternanza fra il lavoro e la preghiera (ora et labora) definisce e delinea con coerenza quanto riportato da San Paolo ai Corinti: “…siate gioiosi, tendete alla perfezione, fatevi coraggio, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi.”
Che autostrada tracciata in questa lettera che arriva fino a noi e che potremo percorrere con agevolata tranquillità. Vorrei sottolineare quel “siate gioiosi” perché ciò che deve contraddistinguere un buon cristiano è la “gioia”. Che serve, la gioia, per testimoniare che si può essere per la vita, perché il sacrificio che salva, quello di Gesù Cristo, ci garantisce la bontà del nostro agire, delle nostre scelte. Di più, ti spinge alla “perfezione” che deve essere tipico dei figli di Dio. Se non si tende alla perfezione, nella gioia, si rischia di rimanere nel guado. Facciamoci, quindi coraggio, “con gli stessi sentimenti”, viviamo in pace fra di noi, e poi con tutti, e vedremo che Dio, nella Santissima Trinità, il Dio dell’amore e della pace è con noi. La salvezza è, perciò, più vicina di quanto possiamo immaginare. Si tratta solo di ascoltare la sua Parola, proprio questa di oggi, e di viverla come dovremmo.
Es 34,4b-6.8-9 / Dn 3,52-56 / 2Cor 13,11-13 / Gv 3,16-18

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