XXIV Domenica del Tempo Ordinario
Quando si ascolta la storia del
“figlio prodigo” si rimane interiormente fermi. Da dove cominciare per
riflettere sui significati di questa parabola? I rivoli di acqua fresca che
sgorgano dai personaggi che animano la vicenda sono innumerevoli.
Ora voglio evidenziare, prendendo
spunto anche dalle altre letture, la figura del pentito.
Mi accorgo, sento dentro di me
che ho peccato e mi pento.
Sono quello che sa pregare come
il salmista: “…pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità”.
Sono quello che agiva come San
Paolo: “…agivo per ignoranza, lontano dalla fede”.
Sono quello che: “…mi alzerò e
andrò da mio Padre”.
Sono quello che
sa di aver peccato e chiede perdono al Signore Dio.
Lui sa cosa passa per la mia
testa.
Lui, però, è ricco di gioia
quando un peccatore si converte: “…io vi dico, così vi sarà più gioia nel cielo
per un solo peccatore che si converte…”.
Lui, sicuro, fa festa quando il
peccatore torna: “…così io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per
un solo peccatore che si converte…”. E’ facile immaginare la miriade di angeli
chiamati dal Buon Dio a condividere la sua gioia. Quante cupole nelle nostre
chiese rimandano questa immagine.
Lui, il Padre, non aspetta.
Corre incontro al figlio che vede
ancora lontano, lo invita ad alzarsi, lo abbraccia e chiama tutti a condividere
perché: “…lo ha riavuto sano e salvo…perché questo tuo fratello era morto ed è
tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.
Va a cercare la pecorella
perduta, non teme la perdita economica, su 100 pecore la cosa sarebbe stata
un’inezia, perché è Padre e come tale, “…porta gli agnellini sul petto e
conduce pian piano le pecore madri…” (Is 40, 11b). La sua gioia è ancora più
grande, penso, quando la può condividere con ogni vita che germoglia e con le
madri che procreano a questo miracolo della vita.
Manda suo Figlio, Gesù Cristo,
perché il suo amore è sovrabbondante: “…e così la Grazia del Signore nostro ha
sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù.” (1Tm).
Addirittura promette al suo
popolo: “…renderò la vostra prosperità come le stelle del cielo…” (Esodo), che
rappresenta l’umanità, una prosperità immensa. E così è stato e così sarà,
nonostante tutto.
Anche al popolo eletto capitò la
schiavitù, fu ridotto al lumicino, così è anche per noi, la sua Chiesa, oggi.
Ci sono fra di noi dei falsi profeti, ci sono tanti, troppi “Don Abbondio”, c’è
un mondo esterno che ci vuole rinchiudere nei ghetti, in schiavitù, siamo
ridotti al lumicino, nonostante i tentativi d’incanalare i grandi numeri con
eventi particolari, ma il tutto è sempre e solo a causa del peccato.
Per uscirne, per ritornare a
vivere la speranza occorre solo una cosa: pentirsi, alzarsi e andare verso il
perdono, verso la misericordia del Buon Dio che scruta i nostri cuori e sa di
che pasta è fatto il pentimento. Se è senza lievito, basterà poco per
accorgersene. Non temiamo, però, lo Spirito Santo non cesserà di donare e
ridonare la sua Grazia per saggiare veramente la nostra voglia di vita. Come è
successo al “figliol prodigo”.
Es 32,7-11.13-14 / Sal 50(51) /
1Tm 1,12-17 / Lc 15,1-32
digiemme