13 agosto 2016

IL FUOCO VIVO

XX Domenica del Tempo Ordinario

C’è da farsi tremare le vene dei polsi. Questo passo del Vangelo è difficilmente digeribile, è ostico, il Buon Dio ci presenta il fuoco, ci nasconde la pace, dà per certa la divisione in ogni casa, in ogni città, fra amici e compagni, fra popoli e razze.
“Sono venuto a gettare fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso…”(Luca).
Mi viene da pensare che, essendo Lui il fuoco, possiamo stare allora certi che non è un fuoco di distruzione, quello che riduce tutto in cenere, non è neppure un fuoco di guerra, quello che brucia vite e speranze. 
E’, sicuramente, quel fuoco che accende i cuori.
Immediata torna alla mente l’immagine dei discepoli di Emmaus quando si dichiarano l’un l’altro “non ardeva forse in noi il nostro cuore?...”.  
E’ il fuoco che ti mette la voglia di andare per il mondo, di raggiungere persone e luoghi. Pensiamo a San Francesco che pure prese il Vangelo alla lettera e fra le tante cose che tradusse nella sua scelta di vita è ricordato anche il suo andare ai confini della cristianità per convertire alla vera fede gli invasori maomettani.
E’ il fuoco che illumina la nostra esistenza, che ci guida sulla strada verso la terra promessa, la vita eterna. Il popolo di Dio in fuga dall’Egitto, aveva una colonna di fuoco che lo guidava verso la libertà. Il profeta Elia scomparve agli occhi del discepolo su un carro di fuoco.
Si dice che “ha il fuoco vivo addosso” proprio per significare l’instancabile desiderio di fare, di muoversi come a voler scaldare coloro che stanno attorno con il proprio entusiasmo, con la propria fiducia nella vita, nell’annuncio di speranza, della Parola:
“…ho annunciato la tua giustizia nella grande assemblea, vedi non tengo chiuse le labbra, Signore, tu lo sai.” (Salmo).
Il Signore ci getta addosso il suo fuoco perché noi possiamo tenere alta la sua fiamma, quella della giustizia per far sì che non affondiamo nel fango come il Profeta Geremia: “…nella cisterna non c’era acqua, ma fango e così Geremia affondò nel fango…” ma “Ebed-Melec uscì dalla reggia e disse al Re…quegli uomini hanno agito male, egli morirà di fame…perché non c’è più pane in città…” e così il Re comprese  l’errore facendo liberare il Profeta. Da notare come un eunuco, un servitore, nel caos di quel tempo, abbia avuto premura e compassione per un uomo già fortemente compromesso, raccogliendo il coraggio di affrontare l’impossibile per un servo. Anche noi che non contiamo nulla dobbiamo cogliere quell’esempio e tenere viva la fiamma…”che risplende nella notte, il Signore sta arrivando, la fatica finirà”. E’ il ritornello di una canzone che ci ricorda come la fiamma, il fuoco del Signore, illumina la notte dei nostri giorni. Non temiamo, facciamo come l’autore della lettera agli Ebrei: “…avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù”.
Tenere fisso lo sguardo su di Lui significa seguirlo sulla strada verso il Padre, significa andare e lasciare tutti, con il rischio di non essere compresi: o sei con Dio, oppure sei con “mammona”, con il potere, con le catene addosso di cui ti devi liberare, anche con la forza, anche con la spada. Tutto questo comporta divisione: “Pensate che sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione”.
Non è guerra, ma non è neppure pace, perché è difficile farsi capire da chi non vuole capire, è difficile spiegare che bisogna annunciare il Regno di Dio e per questo Regno essere disposto a dare la propria vita, a portare la croce di Cristo, a soffrire per il bene della Chiesa, a rinunciare a tutto per prestare fede alla promessa: non ci sarà pace sulla terra perché la pace vera è quella della vita eterna. Questo mondo è solo una vigna o un campo di grano che devono solo portare frutto: frutti di opere buone con la Grazia di Dio e questo, lo capiamo bene, è già un bell’inizio.

Ger 38,4-6.8-10 / Sal 39(40) / Eb 12,1-4 / Lc 12,49-53

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