30 novembre 2025 – 1a di Avvento

   L’ora sconosciuta

“Nell’ora che non immaginate,
viene il figlio dell’uomo!”


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Con la prima domenica d’avvento inizia il tempo dell’attesa. E’ così per ogni madre che aspetta con trepidazione il momento del parto. Esperienza che provò anche Maria di Nazaret. E’ così per ogni padre, perché il cuore di padre è un capolavoro assegnato ad ogni uomo nel pieno della sua paternità. Giuseppe ben identifica questa figura, capace di affrontare con intelligenza e tenerezza ogni ostacolo, ogni imprevisto nel cammino, suo e della sua sposa, verso l’ora sconosciuta della salvezza.

Noi, oggi, rendiamo plasticamente visivo quell’evento con il presepe, rappresentando il bambino appena nato, i suoi genitori e tutta una serie di figure che legano umanità e creato in osservazione incredula. Mi piace, al riguardo, riportare un pensiero di Sant'Alfonso Maria de' Liguori che dice: “là trovarono Maria e Giuseppe e la mia Gioia, e in quel viso provarono un morso di Paradiso.”
E’ proprio così, se solo ci fermassimo a guardare il presepe non come passante frettoloso, ma in una logica di contemplazione, che rimanda ad un’altra ora sconosciuta per ciascuno di noi, quella di cui scrive l’Evangelista: “…e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo.” (dal Vangelo secondo Matteo)
Il riferimento al diluvio prefigurava una situazione esplicita in cui quegli uomini vivevano: sicuramente non aderente alla legge naturale, la legge di Dio. Non è che dopo quel castigo le cose siano cambiate, se anche San Paolo dovette scrivere: “…comportiamoci onestamente come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie.” (dalla Lettera ai Romani)
L’apostolo parla di onestà da vivere alla luce del giorno, cioè di testimoniarla con tenacia, contrastando in questo modo ciò che, invece, viene vissuto nel buio degli animi pervasi e aggiogati da cattiverie e dal maligno. Anche perché questi vizi altro non sono che preludio a perdizioni, pestilenze, schiavitù e guerre. Tutte cose che, purtroppo, possiamo toccare con mano, anche se, quasi con impotenza. Dico quasi, perché quel “morso di Paradiso” ci permette proprio di sperare che: “…spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada con un’altra nazione, non imporranno più l’arte della guerra.” (dal Libro del profeta Isaia
Allora si parlava di spade e lance, oggi di missili e cannoni e, purtroppo, ancora molti governanti vogliono imporre l’arte della guerra, con programmi di riarmo, con tante minacce e poche parole di pace. Avviene nelle “stanze dei bottoni”, avviene nelle famiglie, dove per certi versi l’arte della guerra, dei diritti e dei doveri, è ancora più feroce. E la povertà, non solo economica, dilaga, ma dice un proverbio giapponese che se hai due soldi, compra il pane con il primo e un fiore con il secondo. Ecco, è come dire, attraverso il salmo: “…per i miei fratelli e i miei amici io dirò: “su di te sia pace”. Per la casa del Signore nostro Dio chiederò per te il bene.” (dal Salmo 121)
E’ pure un modo per rafforzare la fiducia nel Buon Dio che non vuole la nostra rovina, ci manda addirittura il Figlio che ci dice:“…perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.” (dal Vangelo secondo Matteo)
Detto questo, non dobbiamo perderci d’animo perché tutto è vita, anche la morte. Infatti anche Gesù è morto, ma per darci la vita. Ecco perché la morte non ci deve spaventare. E’ un futuro che raggiunge tutti, nell’ora sconosciuta, qualunque cosa noi facciamo, chiunque noi siamo. D’altronde è il tempo dell’attesa.
Is 2,1-5  /  Sal 121(122)  /  Rm 13,11-14a  /  Mt 24,37-44
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