Ogni volta che leggo le storie di cristiani
martiri, uccisi per la loro fede, santi e beati per questo, cerco di
immedesimarmi al loro posto. In particolare, penso a quei giovani, a quei
sacerdoti, quei religiosi, quei padri di famiglia, quelle vergini, in Spagna o
in Messico, che di fronte al plotone d’esecuzione, dopo torture e soprusi, gridavano
“Viva Cristo Re!” Perché? Perché nell’ultimo istante della loro vita, in modo
palese, volevano testimoniare di essere seguaci, sudditi di un re evidentemente
perdente? Perché?
Faccio proprio fatica a capire. Provo a
chiedere aiuto a un Padre della Chiesa, come San Cipriano: “… la volontà di
Dio, in Gesù Cristo, è l’umiltà della condotta, la fermezza nella fede,
l’attenzione nella parola, la misericordia nelle azioni, la rettitudine nei
modi, essere incapaci di fare il male, ma poterlo sopportare quando se ne è
vittima …” Certo, può essere che quelle persone, membri dichiarati della
Chiesa, avessero questa consapevolezza da conservare fino alla fine.
Come avvenne per quegli israeliti compartecipi del patto: “… il re Davide concluse con loro un’alleanza davanti al Signore ed essi unsero Davide re di Israele.” (dal secondo Libro di Samuele). E la loro vita ne era segnata per sempre, alla sequela di ciò che il loro re decideva o faceva, con tutti i limiti ed i risvolti del suo modo di rispettare l’alleanza stabilita.
Un po’ come la nostra. Quasi tutti battezzati, quasi tutti portiamo addosso un segno di quella adesione a Cristo, cosciente o meno, una croce al collo o una fede al dito, però, ben veloci a nasconderli nei momenti critici in cui c’è da confermare il nostro coinvolgimento. E’ la dura realtà, basta guardare ai dati di partecipazione alle celebrazioni liturgiche per capire che non c’è più quell’anelito che faceva cantare al salmista:“… andremo alla casa del Signore. Già sono fermi i nostri piedi alle tue porte, Gerusalemme.” (dal Salmo)
C’è proprio da domandarsi dove sono fermi i nostri piedi, oggi. E’ inutile negarlo, siamo immersi in una sonnolenza in cui siamo sprofondati, quella della menzogna a causa di sogni illusori che sono gli onori, le ricchezze, il potere, il fasto, il fascino del piacere, l’ambizione, la sete di godere, la vanità e tutto ciò che l’immaginazione ci porta a perseguire follemente.
Non siamo più in grado di considerare la Chiesa quale luogo privilegiato di quell’alleanza stabilita da Davide e confermata una volta per sempre da Gesù Cristo:“… Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è il principio … ha il primato su tutte le cose, Egli è prima di tutte le cose e tutte in Lui sussistono.” (dalla Lettera di San Paolo ai Colossesi)
Ecco perché è Re dell’universo. Lui è il principio, se ci dimentichiamo di Lui, tutto il castello di questo mondo crolla. Tutto, tranne la Chiesa, c’è la sua promessa che su di essa non preverrà il male, perché questa non è del papa, dei vescovi, dei preti, dei diaconi, dei laici che hanno paura di parlare del Regno, di un Re che ha pacificato e consacrato il suo primato, il suo Regno, con il sangue della sua croce. Senza questa croce, non avrebbe alcun senso ascoltare il Vangelo quando il ladrone “buono” gli:“… disse: Gesù ricordati di me quando entrerai nel tuo regno” (dal Vangelo di Luca)
In verità, mi piacerebbe di più una traduzione che dica “… quando prenderai possesso del tuo regno” perché noi siamo il Regno di Dio, quando saremo stati resi conformi alla gloria del suo corpo. Siamo noi che Cristo consegnerà al Padre, come Regno, secondo quanto dice, sempre il Vangelo, “venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi, fin dalla fondazione del mondo.”
Perciò, mi piace moltissimo l’immagine di Gesù Cristo, il Re, che bussa alla mia porta, che poi è la sua porta, ed aspetta che dall’interno, qualcuno tolga la catenella, quella del cuore, senza guardare dallo spioncino, perché già dal bussare si riconosce il tocco del Re. In verità, viene riconosciuto, per il semplice motivo che quel “oggi sarai con me in paradiso” è ciò che avevano sentito quei santi, mentre morivano, gridando “Viva Cristo Re”.
Come avvenne per quegli israeliti compartecipi del patto: “… il re Davide concluse con loro un’alleanza davanti al Signore ed essi unsero Davide re di Israele.” (dal secondo Libro di Samuele). E la loro vita ne era segnata per sempre, alla sequela di ciò che il loro re decideva o faceva, con tutti i limiti ed i risvolti del suo modo di rispettare l’alleanza stabilita.
Un po’ come la nostra. Quasi tutti battezzati, quasi tutti portiamo addosso un segno di quella adesione a Cristo, cosciente o meno, una croce al collo o una fede al dito, però, ben veloci a nasconderli nei momenti critici in cui c’è da confermare il nostro coinvolgimento. E’ la dura realtà, basta guardare ai dati di partecipazione alle celebrazioni liturgiche per capire che non c’è più quell’anelito che faceva cantare al salmista:“… andremo alla casa del Signore. Già sono fermi i nostri piedi alle tue porte, Gerusalemme.” (dal Salmo)
C’è proprio da domandarsi dove sono fermi i nostri piedi, oggi. E’ inutile negarlo, siamo immersi in una sonnolenza in cui siamo sprofondati, quella della menzogna a causa di sogni illusori che sono gli onori, le ricchezze, il potere, il fasto, il fascino del piacere, l’ambizione, la sete di godere, la vanità e tutto ciò che l’immaginazione ci porta a perseguire follemente.
Non siamo più in grado di considerare la Chiesa quale luogo privilegiato di quell’alleanza stabilita da Davide e confermata una volta per sempre da Gesù Cristo:“… Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è il principio … ha il primato su tutte le cose, Egli è prima di tutte le cose e tutte in Lui sussistono.” (dalla Lettera di San Paolo ai Colossesi)
Ecco perché è Re dell’universo. Lui è il principio, se ci dimentichiamo di Lui, tutto il castello di questo mondo crolla. Tutto, tranne la Chiesa, c’è la sua promessa che su di essa non preverrà il male, perché questa non è del papa, dei vescovi, dei preti, dei diaconi, dei laici che hanno paura di parlare del Regno, di un Re che ha pacificato e consacrato il suo primato, il suo Regno, con il sangue della sua croce. Senza questa croce, non avrebbe alcun senso ascoltare il Vangelo quando il ladrone “buono” gli:“… disse: Gesù ricordati di me quando entrerai nel tuo regno” (dal Vangelo di Luca)
In verità, mi piacerebbe di più una traduzione che dica “… quando prenderai possesso del tuo regno” perché noi siamo il Regno di Dio, quando saremo stati resi conformi alla gloria del suo corpo. Siamo noi che Cristo consegnerà al Padre, come Regno, secondo quanto dice, sempre il Vangelo, “venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi, fin dalla fondazione del mondo.”
Perciò, mi piace moltissimo l’immagine di Gesù Cristo, il Re, che bussa alla mia porta, che poi è la sua porta, ed aspetta che dall’interno, qualcuno tolga la catenella, quella del cuore, senza guardare dallo spioncino, perché già dal bussare si riconosce il tocco del Re. In verità, viene riconosciuto, per il semplice motivo che quel “oggi sarai con me in paradiso” è ciò che avevano sentito quei santi, mentre morivano, gridando “Viva Cristo Re”.
2Sam
5,1-3 / Sal 121(122) / Col 1,12-20 / Lc 23,35-43
digiemme
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